Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Ottobre 1st, 2011 | by sally
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Meglio tardi che mai, “Blood Story” alla fine è arrivato in Italia, anche se il titolo scelto dalla distribuzione non si spiega: perché sostituire un titolo inglese, “Let me in“, con un altro titolo inglese, molto meno pertinente? I misteri irrisolvibili… ma l’importante è che sia arrivato, di tanto in tanto un horror di buona qualità ce lo meritiamo.
Scritto e diretto da Matt Reeves (Cloverfield), “Blood Story” è stato definito “il miglior horror americano degli ultimi 20 anni” nientemeno che da Stephen King, che ha senz’altro esagerato un po’, ma considerando che si tratta di un remake e al centro della storia ci sono i vampiri, il risultato è migliore rispetto alle aspettative. Di vampiri al cinema ormai abbiamo fatto indigestione, ma in questo caso la storia è completamente diversa. Non ci troviamo di fronte ai vampiri pallidi e vegetariani di “Twilight” nè tantomeno di fronte alle storie di “True Blood” o alla quasi comicità di un “Fright Night“, in questo caso ci sono addirittura degli attori che sanno recitare! Il film è un remake del “Lasciami entrare” con il quale ha esordito lo svedese Tomas Alfredson. La pellicola era ambientata nella fredda Stoccolma, la storia tratta dall’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, sul quale si basa ovviamente anche il film di Reeves, con la differenza che Alfredson era avvantaggiato dalla presenza dell’autore del libro in qualità di sceneggiatore. Matt Reeves ha dovuto fare tutto da solo ed ovviamente non è mancata la cosiddetta “americanizzazione” della storia, che si sposta a Los Alamos, nel New Mexico. Owen è un bambino solitario, vittima di bullismo nella sua scuola. Siamo negli anni Ottanta e nella tranquilla e fredda Los Alamos iniziano a verificarsi inquietanti omicidi, che coincidono con l’arrivo di Abby, una misteriosa e strana ragazza che esce solo di notte e cammina a piedi nudi sulla neve senza provare alcuna sensazione. Ben presto Owen si avvicinerà alla ragazza, le loro solitudini si uniranno ma il ragazzino, dodicenne, capirà ben presto che è proprio Abby ad essere direttamente collegata con i terrificanti eventi. La ragazza è un vampiro e nonostante gli sforzi per tenere Owen lontano da lei, tra loro si crea un legame di reciproca dipendenza e lui sembra essere più affascinato che spaventato dalla figura della nuova vicina di casa. Ambientazioni gelide, tanti primi piani ed inquadrature statiche e molti giochi con la messa a fuoco. Americanizzazione sì, ma è tutto meno hollywoodiano del previsto. “Blood Story” ha tutte le caratteristiche per essere una pellicola indipendente e sicuramente di qualità. Non sarà il miglior horror degli ultimi 20 anni, ma un film capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo, nonostante i lunghi silenzi e la staticità del luogo, che serve alla trama stessa, aiuta il regista ad offrirci la stessa sensazione di desolazione che provano i protagonisti. Gli effetti speciali delle trasformazioni di Abby da bambina a vampiro non convincono per niente, ma Reeves è in grado di recuperare con molte altre scene azzeccatissime, agevolato dalla presenza di giovani attori abili e promettenti: si tratta di Chloe Moretz, una vera e propria rivelazione già con “Kick-Ass” e Kodi Smit-McPhee. Tra le idee migliori del regista, rientra anche quella di non inquadrare mai in volto la madre di Owen, fortemente credente (nel film non mancano i riferimenti religiosi ed anticristiani), ma una figura flebile nella vita del bambino. Il fatto di non vedere mai il suo viso, rispecchia il disagio del protagonista, che vediamo sempre solo, nella neve con il suo cubo di Rubik, allietato solamente dalla presenza inquietante di Abby, un’altra figura combattuta e sofferente. “Blood Story” è l’eterna lotta tra il bene e il male, ma in questo caso sembra che il bene, per poter esistere, debba scendere a compromessi e che non tutto può andare per il verso sperato. Il male, inoltre, diviene una figura affascinante, lo dimostra appunto l’interesse del bambino nei confronti di quella che solo in apparenza è una sua coetanea, ma che in realtà è capace di cose orribili, di cui lui stesso è spettatore e in un certo senso ne diviene anche complice, tacendo la verità a tutti. Il film non potrà sicuramente competere con l’originale, che tra l’altro si caratterizza per uno stile completamente diverso, di stampo europeo, ma rimane un’opera valida, supportata dalle musiche del premio Oscar Michael Giacchino (“Up” della Pixar). Tra sangue ed atmosfere cupe, “Blood Story” rimane uno degli horror più validi degli ultimi tempi, apprezzabile anche da chi, come me, non è un amante del genere ma vuol ricevere emozioni e questo è un film in grado di coinvolgere e avvolgere, ha qualcosa da raccontare. Voto: [starreview tpl=16]
2 Responses to Blood Story: la recensione