Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Febbraio 21st, 2012 | by alessandro ludovisi
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“ATM – Trappola mortale” è il nuovo horror claustrofobico della stagione, diretto dall’esordiente David Brooks e interpretato da Alice Eve (“Lei è troppo per me”, “Sex and the City 2”), Josh Peck (conosciuto per la sitcom Drake e Josh) e Brian Geraghty (“Jarhead”, “The Hurt Locker”). Lo script del film è curato da Chris Sparling, già autore di “Buried”.
Dopo aver partecipato ad una festa aziendale, tre colleghi (Emily, David e Corey) si fermano a un bancomat per ritirare dei soldi. Ben presto si accorgono di essere osservati da un misterioso uomo incappucciato che li scruta a distanza, dal parcheggio. Purtroppo per loro non è in cerca di contanti e le sue intenzioni appaiono chiare nel momento in cui uccide a sangue freddo un innocente signore a passeggio con il cane. I tre ragazzi si barricano nella cabina della banca, spaventati e infreddoliti, con la temperatura abbondantemente sotto lo zero. La loro missione è sopravvivere ai continui attacchi notturni del misterioso maniaco.
Probabilmente mancava una stazione con sportello bancomat nella lista di spazi e luoghi fatti propri dal cinema dell’orrore. La difficoltà di girare una pellicola intera con i movimenti degli attori necessariamente ridotti ai minimi è pur sempre una impresa ostica. Qui, se escludiamo i primi quindici-venti minuti di film, in cui conosciamo i protagonisti della pellicola (l’occasione è una festa aziendale tra alcool e chiacchiere) il palcoscenico è una semplice cabina, quattro mura che separano le vittime dal carnefice. Ed ecco la prima intuizione degli autori: viene celata l’identità del persecutore, del killer (le sue intenzioni sono, invece, abbastanza chiare vista la ferocia con cui assassina un ignaro passante), non sappiamo perché è lì, cosa vuole dai ragazzi e se è mosso o meno da sete di vendetta. In verità, non vediamo neanche il suo volto. I tre ragazzi vengono così colti dal panico, non hanno via di fuga non conoscono la motivazione del folle, si fanno domande e cercano una soluzione. Il tutto mentre inesorabila scende la notte e la temperatura.
Il cinema dell’orrore si nutre delle paure della vita quotidiana, siamo spaventati se la storia è “possibile” e si avvicina al reale e questo spiega il successo dei falsi documentari spacciati per autentici (vedi “The Blair Witch Project”). In questo caso il cinema di genere “attacca” un nuovo spazio sicuro, uno sportello bancomat dove, tutt’al più può capitare di essere rapinati ma mai si penserebbe di poter esser vittime del sadico gioco dissennato di un maniaco.
L’occasione, in questo caso, è propizia per poter analizzare le dinamiche umane in situazione di panico. Tre ragazzi dalla personalità diversa che interagiscono per uscire da una situazione di pericolo. Ognuno con le proprie peculiarità e speranze. Ben presto si accorgeranno di essere vittime senza motivo, “prede” di un cacciatore che agisce istintivamente non lasciando intendere le sue mosse. Anzi, e forse paradossalmente qui sta la vera forza del film, il carnefice agisce scriteriatamente ci domandiamo più volte il perché non irrompa nella stazione, perché non provi a forzare porta o finestre. La tensione sale così come la perplessità dello spettatore, confuso e bisognoso di risposte: sono errori della sceneggiatura o l’assassino sta seguendo un piano preciso? Non sarà facile dare una risposta a domande che probabilmente resteranno tali anche in seguito alla conclusione della pellicola.
Attenzione, i ruoli potrebbero non essere così delineati: il carnefice sembra trasformarsi in vittima ma le vittime stesse potrebbero essere carnefici. Noi spettatori siamo, invece, pubblico due volte, costretti alla visione attraverso i nostri occhi e con quelli del killer che comodamente osserva l’evolversi della situazione seduto su una sedia.
Nonostante non brilli per dialoghi e sceneggiatura, la pellicola dopo un prologo abbastanza noioso riesce a regalare alcuni momenti di tensione fino al brillante finale doppio che sposta improvvisamente la pellicola sul binario thriller con una rapida sterzata. Ci hanno abituato a case stregate, manicomi, carceri, seggiovie (vedi “Frozen”) e ora una semplice stazione bancomat dove rifornirsi di contanti. Non ci sono più posti sicuri? O il cinema di genere sta, finalmente, esplorando nuove vie?
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