Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Giugno 8th, 2019 | by sally
0La nuova stagione di “Black Mirror”, la quinta, è stata rilasciata su Netflix e, tra tutte, è la stagione meno “black mirror” in assoluto.
Lo dicono tutti, lo diciamo pure noi: la serie non è più quella di una volta. E sì, è vero che anche le serie si evolvono, cambiano e maturano, ma questa in particolare si fondava sull’ansia e il cinismo che l’hanno resa celebre e che adesso sono quasi un lontano ricordo. Nonostante questo, Charlie Brooker sa sempre offrire numerosi spunti di riflessione e mai come stavolta, “Black Mirror” punta i riflettori sul presente, più che sul futuro. Se gli episodi delle stagioni passate si concentravano sull’evoluzione – e correlate conseguenze – della tecnologia e l’impatto sulle nostre vite, nella quinta stagione “Black Mirror” rimane con i piedi ben saldi nel presente. Perché non c’è bisogno di andare troppo lontano, dobbiamo già fare i conti con una tecnologia che ha preso il sopravvento e che continuiamo a incolpare, senza mai fermarci a riflettere sulle nostre effettive capacità di autocontrollo. Seguono le recensioni dei singoli episodi ma attenzione, possibili spoiler in arrivo!
“Striking Vipers“, come già accaduto in passato, riprende il tema dei videogame, la loro evoluzione e il modo di influenzare la vita di una persona, anche in maniera radicale. “Striking Vipers” è la versione ultramoderna di un picchiaduro à la “Street Fighter” e “Tekken”, un gioco nel quale immergersi profondamente, al punto da percepirlo come reale. Danny (Anthony Mackie) e Karl (Yahya Abdul-Mateen II) sono amici di vecchia data, si conoscono dai tempi del college, quando vivevano nella stessa casa e insieme a loro c’era Theo (Nicole Beharie), moglie di Danny e madre di suo figlio. I tre si ritrovano dopo molto tempo in occasione del compleanno di Dan. Karl, ricordando la vecchia passione dell’amico per i videogame, gli regala “Striking Vipers”. Il gioco affascina subito Dan ma prende una piega inaspettata perché, anziché combattere, i due amici si ritrovano ad avere rapporti sessuali nei panni dei loro rispettivi personaggi, un uomo e una donna. La relazione, in poco tempo, assorbe completamente l’attenzione di Dan e le cose iniziano a mettersi male con Theo, che cerca di avere un altro figlio e sente il marito sempre più lontano. Dan cerca di distaccarsi da questo rapporto virtuale con Karl ma i due iniziano a porsi domande sulla loro sessualità anche al di fuori del gioco, ritrovandosi in prigione dopo una brutta lite. “Striking Vipers” è forse l’episodio peggiore di questa stagione: si dilunga inutilmente, ripetitivo, quasi come se non avesse una meta ben definita. Come accade guardando tutti gli episodi della quinta stagione di “Black Mirror“, gli spunti restano estremamente interessanti ma la sceneggiatura risulta spesso debole. Manca la tensione caratteristica della serie così come mancano un momento spiazzante e un intento ben definito. Fondamentalmente, l’episodio parla di una storia d’amore particolare, senza nemmeno suscitare l’emozione dell’indimenticato “San Junipero”. La trama viene sviluppata in modo superficiale, senza un finale che dia un senso di chiusura e completezza (oltre che concretezza) a tutta la storia.
Lo scorso dicembre Netflix ha rilasciato “Bandersnatch“, il primo episodio interattivo di “Black Mirror“. La sua costruzione era diventata così complessa che Charlie Brooker ha pensato di renderlo un evento a parte, dal quale sviluppare nuovi spunti per ulteriori episodi. È quello che è successo con “Smithereens”, il nome di un social network che richiama in particolar modo Facebook e Twitter. Charlie (Andrew Scott) fa l’autista a Londra e lavora grazie ad un’applicazione sulla falsariga di Uber. Charlie ha da poco perso la fidanzata e la mamma e appare fin da subito un po’ troppo nervoso e particolarmente diffidente nei confronti della tecnologia. Aspetta i suoi clienti davanti alla sede londinese di Smithereen e un giorno il malcapitato Jaden (Damson Idris) si ritrova ad essere vittima della sua follia. Charlie lo scambia per un manager e cerca di raggiungere il suo obiettivo, parlare con Billy Bauer, a capo dell’azienda. Da qui nasce un thriller fatto di negoziazioni e tensione (molto poca, a dire il vero) che lascerà lo spettatore in sospeso sul finale. Billy Bauer (personaggio interpretato da Topher Grace e riferimento chiaro a “Bandersnatch”) è in ritiro spirituale nel deserto, alle prese con dieci giorni di totale silenzio. Nessuno vuole disturbarlo, anche se di mezzo c’è la vita di un ragazzo: Charlie vuole assolutamente parlare con lui e minaccia di uccidere il suo ostaggio. Dopo un lunghissimo scambio di comunicazioni tra la polizia locale, FBI e i vertici aziendali, Charlie riesce a parlare con Billy Bauer, che mette da parte i cauti consigli professionali per lasciarsi andare ad un ascolto sincero del suo interlocutore. Charlie vuole solo liberarsi dei suoi sensi di colpa: la sua fidanzata è morta in un incidente d’auto mentre lui era intento a leggere le notifiche dell’applicazione sul telefono. Al suo posto, però, è stato incolpato il guidatore dell’auto che li ha travolti, perché era ubriaco. Nonostante l’interpretazione impeccabile di Scott, anche “Smithereens” sembra non avere le idee ben definite e non regala grandi momenti di tensione. Regala, però, numerosi spunti di riflessione, anche quando sono appena accennati. La denuncia è chiara: la nostra vita è stata completamente risucchiata dai social network. Billy Bauer è un Dio moderno (il riferimento non è per niente velato) che conosce ogni dettaglio della vita di chiunque, i suoi dipendenti hanno accesso ad informazioni in tempi decisamente più ridotti rispetto alle forze dell’ordine. Lo stesso Bauer, però, sembra essere vittima del sistema che ha creato. Se tutti vedono in lui la figura di Mark Zuckerberg, diventato l’emblema del social network e il volto dei titani della Silicon Valley, non si può non pensare che la figura di Bauer sia costruita anche intorno a quella Jack Dorsey, uno dei “papà” di Twitter. Altro aspetto inquietante e ricorrente, ma non approfondito, sono i social dal punto di vista dello spettatore “bulimico”, che osserva il feed e le notizie – tragiche o meno – scorrere senza prenderne mai veramente coscienza. Un paio di ragazzini che riprendono i cecchini con i fucili puntati su Charlie se la ridono, pensando ai like piuttosto che comprendere la gravità della situazione. “Smithereens” si conclude senza far capire allo spettatore del destino di Charlie e Jaden ma l’autista vuole fare un’ultima buona azione, prima della fine (qualunque essa sia): Billy Bauer apprende come sono andate le cose sempre attraverso il social che lui stesso ha creato e sul quale sembra ormai avere poco controllo. Chiude gli occhi, così come Charlie fa all’inizio dell’episodio, e torna alla sua meditazione, lontano dalla tecnologia. Un altro momento della vita di qualcuno, scivolato via dalla timeline.
Il chiacchierato episodio con protagonista Miley Cyrus non è una critica limitata al mondo della tecnologia ma anche alle star dei nostri giorni. E chi, più di Miley Cyrus, potrebbe rappresentarle? Esplosa con “Hannah Montana” in giovanissima età, la Cyrus è diventata una star di fama internazionale, osannata dai ragazzini di tutto il mondo. Il suo alter ego, in questo caso è Ashley, una popstar controllata dalla zia-manager e ormai consumata da un sistema che si alimenta attraverso solo con il denaro e in cui la celebrità è effimera e dipende esclusivamente dai like sui social. Tra i tre, questo episodio ha un’impronta più comedy e futuristica ma, alla pari degli altri due, affronta i mille spunti che offre in maniera confusa. Rachel (Angourie Rice) e Jack (Madison Davenport) sono due sorelle adolescenti che stanno affrontando la perdita della madre. Una di loro è una fan di Ashley, che trova conforto nella sua musica e nei messaggi positivi che trasmette. Quando le viene regalato un robot con le sembianze della popstar, la ragazzina intensifica il suo isolamento iniziando a considerare l’Ashley tecnologica la sua migliore amica. La bambola intelligente, un giorno, cambierà atteggiamento e linguaggio, rappresentando la Ashley più autentica, quando la popstar si ritroverà in coma a causa degli ambiziosi e malvagi progetti della zia. La donna, ormai accecata dal desiderio di successo, si prepara a presentare una concezione tutta nuova della musica live, che non contempla tutti gli effetti collaterali di una popstar in carne ed ossa, inclusa la libertà di pensiero. L’intero episodio, inoltre, offre numerosi spunti di riflessione che ruotano intorno alla morte – nel vedere l’ologramma di Ashley viene subito in mente Michael Jackson – ma anche alla vita reale di personaggi che vivono dell’adulazione di un pubblico che non le conoscerà mai per quello che sono. Una profonda solitudine, corredata da una buona dose di dovuta ipocrisia e qualche droga, ed ecco servita la popstar perfetta. Fin dal titolo, questo episodio della quinta stagione di “Black Mirror” fa pensare a un film dal tocco fantascientifico dedicato a un target prevalentemente adolescenziale. Si perde, così, il senso originario della serie che, arrivata a questo nuovo traguardo, non trasmette più rabbia e angoscia nei confronti di un futuro che ci vede sempre più succubi della tecnologia ma ci rende spettatori inerti, proprio come quando leggiamo il feed di notizie e nulla, più, sembra toccarci.