Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Ottobre 23rd, 2016 | by sally
0“Black Mirror” ha debuttato nel 2012 ed è una delle serie più disturbanti e distopiche che ci siano in circolazione. Nell’arco di poco tempo ha visto crescere il numero di fan e dopo le prime due stagioni da tre episodi ciascuna e uno special di Natale, è arrivata la terza stagione composta da sei episodi e ne è già stata confermata una quarta.
“Black Mirror“, letteralmente “specchio nero“, quello dello schermo di uno smartphone o di un televisore. La tecnologia sta prendendo il sopravvento e tutto quello che ora ci appare lontanissimo, in realtà è più vicino di quanto pensiamo. La serie tv a volte può sembrare esagerata nella narrazione ma lo fa volutamente, creando ansia e angoscia nei confronti di un futuro in cui tutto è dominato dai dispositivi elettronici, nel bene o nel male. Dopo le prime due stagioni avevo già coperto la webcam del mio computer perché avevo iniziato ad avere la sensazione che ci fossero sempre degli occhi puntati su di me, dopo la terza stagione – che ricorda anche nel promo di coprire le webcam – e dopo Mark Zuckerberg che aveva coperto quella del suo pc con il nastro adesivo, non sembra proprio fantascienza. Qualunque cosa accada davanti al vostro computer, lecita o non lecita, potrebbe essere registrata da qualcuno pronta a diffonderla via web. Un argomento più attuale e scottante che mai, visto che a causa dei social molte persone hanno visto la propria vita sgretolarsi, a volte arrivando a prendere decisioni estreme una volta scoperte le conseguenze che i social possono avere su eventi che tendiamo a sminuire.
In questo primo episodio siamo in un mondo governato dalle recensioni. Non solo ristoranti, film e applicazioni, si recensiscono le persone e vengono giudicate dal punteggio che riescono a raggiungere (esiste già un’app che permette di recensire le persone e si chiama Peeple). La popolarità di ognuno dipende da quello (molti oggi fanno dei like sui social una ragione di vita, non siamo così distanti) e Lacie Pound (Bryce Dallas Howard) vuole andare incontro al suo futuro con il punteggio più alto. Proprio come i soldi e il prestigio attuali, il punteggio più alto permette di avere maggiori opportunità e concessioni, Lacie decide di cercare casa in un quartiere d’alto livello e di approfittare del matrimonio dell’amica di vecchia data Naomi (Alice Eve), appartenente all’alta società, per riuscire a raggiungere il punteggio necessario per entrare nell’appartamento esclusivo. “Caduta libera” racconta i meccanismi perversi di una società ipocrita, rivestita di colori pastello e gentilezza forzata. Tutto è talmente innaturale che prima o poi qualcuno – anche la persona più buona e naturalmente predisposta alla gentilezza – deve dare di matto. Inoltre fa comprendere come il giudizio altrui sia facilmente influenzabile. Come episodio, rispetto ad altri, risulta un po’ piatto, la narrazione è fin troppo dilungata e i dialoghi sono scarni. Il disagio di Lacie però è sostenuto da una perfetta Bryce Dallas Howard, che riesce a dosare bene le diverse caratteristiche presenti nella personalità del suo personaggio. La storia rimane credibile, questo piccolo universo che ricorda un po’ quello di “Her” di Spike Jonze per la pulizia e il colore, è totalmente sterile: nessuno, o quasi, vuole conoscere le emozioni autentiche, ma solo quelle che possono portare al risultato migliore, al punteggio più alto. Niente che non stia già succedendo.
⭐⭐
Cooper (Wyatt Russell) vive con la madre ma un giorno decide di preparare il suo zaino e andare in giro per il mondo, ignorando le chiamate della madre per tutto il tempo. Il suo lungo viaggio ha come ultima tappa Londra, ma la sua carta di credito è stata clonata, perciò il ragazzo decide di usare un’app per trovare lavoretti facili per poter partire e tornare negli USA. Si ritrova così a fare da cavia per la SaitoGemu, famosa società di videogame horror che sta sperimentando la realtà virtuale per aumentare l’impatto durante l’esperienza di gioco. Qui incontra Shou (Ken Yamamura), che è a capo dell’azienda e Katie (Wunmi Mosaku), che lo seguirà nel suo percorso di sperimentazione. Dopo aver firmato i documenti necessari, Cooper si fa iniettare qualcosa dietro la nuca. Si tratta di una nuova tecnologia capace di analizzare il cervello alla ricerca delle paure più nascoste per poi poterle riprodurre all’interno del gioco, rendendole reali. Cooper acconsente alla sperimentazione, ma fronteggiare le proprie paure, pur sapendo che sono una proiezione, non sarà così facile. Questo episodio è chiaramente incentrato sul mondo dei videogiochi e la loro evoluzione. Nel corso del tempo, infatti, si sono fatti sempre più realistici e sensazionali e ormai le emozioni non bastano. Le persone si stancano facilmente di quello che hanno e sono pronte a chiedere sempre di più, ma a quale prezzo? “Giochi pericolosi” rende il concetto ben chiaro ed è sicuramente uno degli episodi più angoscianti in cui le sensazioni vengono tirate in ballo sotto altre forme e prospettive, qui è la paura ad essere il vero e proprio corollario. Altro che “Inside out“!
⭐⭐⭐
Kenny (Alex Lawther) è un adolescente comune, lavora in un fast food, viene deriso dai più grandi, vive in casa con la madre e una sorella troppo invadente. Quando un virus si impossessa del suo pc, decide di fare la pulizia scaricando un programma da internet, senza rendersi conto che qualcuno è entrato nel suo computer e può controllare la telecamera. Kenny si masturba davanti al computer guardando delle immagini e l’hacker registra tutto, iniziando a ricattarlo via e-mail e poi telefonicamente. Per evitare che le immagini vengano inviate alle persone che lo conoscono, Kenny deve obbedire a tutti gli ordini che riceve per telefono, quindi è costretto ad andare via dal lavoro per raggiungere un posto in cui un uomo gli consegna un pacco. La sua avventura è appena iniziata e non è l’unico ad essere coinvolto in questo sistema perverso. Come dicevamo all’inizio, questo è uno dei temi più attuali in assoluto: molte persone si sono ritrovate in situazioni compromettenti e poi ricattate, qualcuno ci ha perfino rimesso la vita. Le telecamere sono presenti ovunque così come le tentazioni, con le nuove tecnologie è sempre più facile essere esposti al rischio che qualcun altro abbia delle informazioni che dovrebbero rimanere strettamente riservate. E, come dice Hector (Jerome Flynn) in piena crisi isterica, da internet non si cancella più niente. La domanda è, fin dove si è disposti ad arrivare pur di tutelare la propria privacy? L’argomento richiederebbe molteplici approfondimenti, a partire dalla valutazione dei pro e dei contro nel momento in cui di decide di assecondare la richiesta di qualcuno che ci sta ricattando. Sotto pressione le persone sono capaci di fare cose che non avrebbero immaginato prima, ma non c’è quasi mai un pensiero preventivo, a predominare sembra l’istinto e la sicurezza che, in un mondo in cui le informazioni corrono veloci e tutto è fugace, anche il minimo gesto compromettente possa passare inosservato, eppure le cose non stanno esattamente così. Un grande applauso al giovane Lawther, che ha regalato una performance magistrale in questo episodio cupo in cui tutto ciò che è reale, fino all’ultimo momento, può essere stravolto.
⭐⭐⭐⭐
Siamo nel 1987, Yorkie (Mackenzie Davis) è una “turista” a San Junipero, frequenta il locale in cui incontra Kelly (Gugu Mbatha-Raw), una ragazza disinvolta che sa come divertirsi e che risulta essere l’opposto rispetto alla goffa Yorkie, priva di esperienza. Kelly inizia a provocare la ragazza, che piano piano cede al suo fascino e le due si innamorano, ma è chiaro che non sono personaggi reali quando Yorkie inizia a “viaggiare nel tempo alla ricerca di Kelly”, che non si è fatta vedere per un po’. San Junipero è effettivamente qualcosa molto di più di un social e di una realtà virtuale, è una sorta di estensione della vita, per chi lo vuole. La sperimentazione parte dalle case di cura per anziani ed è limitata a un’esperienza di 5 ore a settimana, a San Junipero arrivano le coscienze delle persone che sono morte e hanno scelto di vivere per sempre nella loro versione più giovane all’interno di questa cittadina. Infatti Yorkie è in coma da quando aveva 21 anni, a Kelly non resta molto da vivere. Il modo in cui queste realtà si scontrano e sono distinte è spiazzante. Fin dall’inizio si capisce che a San Junipero c’è qualcosa che non torna e che c’è di mezzo la virtualità, gli indizi vengono disseminati poco alla volta e solo sul finire dell’episodio tutto diventa più chiaro. Si ritorna ad argomentazioni di importanza etica e attuale come l’eutanasia e la scelta di cosa fare di sé, in questo caso anche dopo la morte. Se da una parte Kelly vuole seguire gli ideali del marito, scomparso anni prima, che si rifiutava di diventare “immortale” a San Junipero, la timida Yorkie è di tutt’altro avviso. La sua vita è stata interrotta a soli 21 anni e così ha avuto la sua possibilità di conoscere altro e vivere nuove esperienze. Nonostante le ottime recensioni che l’episodio ha ricevuto e l’argomento trattato, senza alcun dubbio interessante e d’impatto, non sembra essere quello più alto qualitativamente, forse perché fa meno leva sull’angoscia e la paura in senso oppressivo e le trasporta su un altro piano, non meno etico, che ha a che vedere con un futuro – quello post mortem – che non siamo nemmeno capaci di immaginare, perché fino ad ora tutto questo è sembrato impossibile e al massimo possiamo appoggiarci alla religione. Riuscireste a immaginare un cimitero virtuale in cui vivi e morti si confondono e vivono “forever young” in una festa perenne nel decennio che più preferiscono?
⭐⭐
Un’organizzazione militare combatte quotidianamente per cacciare gli “scarafaggi”, degli umanoidi incapaci di parlare, pallidi, con le sembianze dei vampiri. Dopo un l’ennesimo furto in un villaggio, la squadra di Medina (Sarah Snook) entra in azione, alla ricerca degli esseri che hanno lasciato la popolazione senza viveri. Stripe (Malachi Kirby) è alla sua prima esperienza e riesce a farne fuori due, insieme a lui c’è una determinatissima Ray (Madeline Brewer, “risorta” da “Orange is the new black”). Durante lo scontro, Stripe viene colpito da uno degli scarafaggi con uno strano oggetto e da allora le sue percezioni cambieranno. Quando il trio torna in missione in un quartiere in cui sanno per certo che ci sono altri “scarafaggi”, Medina rimane uccisa e Stripe e Ray continuano la missione ma il ragazzo continua ad avere problemi e vede le cose in tutt’altro modo. I militari in azione usano MASS, un impianto che migliora le loro capacità strategiche e velocizza la trasmissione di informazioni. Il controllo medico non riscontra alcun problema nell’impianto di Stripe, che però scopre la verità sui tanto temuti “scarafaggi”. Arquette (Michael Kelly, il caro e vecchio Doug di “House of cards”) lo mette di fronte a due opzioni, e nessuna delle due è esattamente prodigiosa. Com’è stato già detto, l’episodio spinge alla riflessione sulle conseguenze delle migliorie tecnologiche apportate alle strategie militari, che in questo caso si sono spinte un po’ oltre. I tempi cambiano, il futuro avanza ma sembra compiere un grande balzo indietro – parafrasando quello maoista – in cui è l’eugenetica a dominare le scelte. L’ossessione di raggiungere il massimo stato di benessere, la debellazione di ogni male e una razza umana sana e longeva, ha portato alla creazione di un impianto che migliora sì le capacità strategiche dei soldati, ma distorce completamente la realtà. Tutto quello che vedono non è reale, nemmeno i volti di questi “scarafaggi” che, semplicemente, sono esseri umani con il dna “sporco” di malattie, esattamente quello che siamo noi, qui e ora. I militari vengono addestrati ad ucciderli per garantire un futuro perfetto alle nuove generazioni, non hanno capacità olfattive, la loro vista viene alterata, le emozioni passano in secondo piano, “Il mondo nuovo” non è così lontano. Stripe è l’unico a rendersene conto e ha la possibilità di scegliere se farsi cancellare la memoria e tornare operativo, o impazzire chiuso in una cella con l’immagine delle persone uccise, quando credeva che non lo fossero. È l’unico a provare anche solo il minimo senso di colpa per aver distrutto la vita di altre persone ed è l’unico a considerarle tali, nonostante il loro dna. Se un tempo la discriminazione poteva essere razziale o religiosa, in questo caso certe distinzioni sono superate, si passa direttamente alla genetica e si punta alla perfezione. Ma a quale prezzo?
⭐⭐⭐⭐
“Bee Movie” insegna che le api sono indispensabili per la vita del pianeta, e in un mondo in cui queste non esistono, c’è chi ha pensato di sostituirle con la loro versione tecnologica. Siamo in Inghilterra e i social sono parte integrante della vita di ciascuno. Ma, come accade già adesso, in molti non sanno distinguere la realtà dai social e il cyberbullismo, del quale tanto si parla, viene sminuito ma ha delle conseguenze concrete, anche sulle persone in carne ed ossa e non solo sulle bacheche e le loro foto profilo. Al punto che possono essere coinvolte le forze dell’ordine, il Governo e degli hacker che cercano la loro vendetta personale, redigono un vero e proprio Manifesto con dei principi per combattere l’ignoranza che imperversa di pari passo con un vero e proprio sdoppiamento di personalità collettivo. Sciami d’api inquietanti come “Gli uccelli” di hitchockiana memoria e hashtag estremamente pericolosi sono al centro di quello che forse è il migliore episodio di questa terza stagione di “Black Mirror“. Di sicuro è quello più vicino alla realtà, il più tangibile, che analizza sempre a fondo l’incapacità di discernere delle persone, ottenendo una reazione e un impatto non da poco. Un insulto sui social non è solo virtuale, può distruggere delle vite, di recente abbiamo assistito al caso Cantone ma di cyberbullismo si sente parlare ogni giorno, la shitstorm è sempre dietro l’angolo, dipende dall’umore generale che la gente assume, le tendenze che decide di seguire, senza mai pensare a delle conseguenze. Come se i pixel fossero pronti a svanire, come se fosse un brutto sogno che finisce con un risveglio e un sospiro, ma la realtà non è così. Almeno non quella di chi diventa bersaglio dei molti e deve pagarne le conseguenze sulla propria pelle, subire una vera e propria violenza psicologica di massa che potrebbe lasciare dei segni anche nel lungo periodo. E se c’è una cosa che abbiamo imparato – se non nella vita, da questa serie – è che tutto ciò che finisce su internet non si cancella. Viviamo in un mondo in cui tutti sono perennemente connessi tra di loro e dove il parere dell’altro, chiunque esso sia, conta e ha un peso (lo dimostra il primo episodio) non indifferente. Un commento di odio, che si finisce per dimenticare guardando il gattino puccioso un attimo dopo, potrebbe influire sulla vita di una persona anche lontanissima da noi, che magari ha offerto in pasto al cosiddetto popolo del web un gesto non troppo encomiabile, ma nemmeno così grave da condannarlo alla gogna pubblica. L’argomento è di estrema attualità e si divide tra chi vuole combattere questo fenomeno ripagando i carnefici con la stessa moneta, rivelandosi poco istruttivo, e chi parla invece di rieducazione. Un po’ il dilemma in corso da tempo immemore per le carceri e la riabilitazione dei detenuti, qui le nuove sbarre sono volute, cercate e create in account apparentemente “sicuri”, in un ambiente virtuale popolato da gente comune capace di sprigionare odio puro per le cause più infime, dal click fin troppo facile, che non conta fino a 10 prima di commentare o condannare e non calcola nemmeno che il suo piccolo gesto, nel bene o nel male, può realmente fare la differenza.
⭐⭐⭐⭐⭐