Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Novembre 18th, 2014 | by sally
0Chi non ha pianto durante la scena della morte di Mufasa guardando “Il re leone“? E chi non si è disperato guardando i primi minuti di “Up“?
La generazione “Bambi” è stata devastata dalla triste storia del cerbiatto e di storie strappalacrime nel campo dell’animazione ce n’è a non finire, ma quale tra queste è la più triste in assoluto? A stilare una classifica ci ha pensato Shea Serrano, il giornalista ha scritto un articolo per Grantland mettendo insieme alcuni dei film d’animazione più conosciuti e considerando le storie dei personaggi nel loro insieme, ha stabilito una percentuale di tristezza che li caratterizza, dall’1 al 100%, ecco la sua top list, percentuali di tristezza e le motivazioni.
Ralph, il re dei videogiochi, ha deciso di voler smettere di essere il cattivo della situazione: “Vuole che la gente lo ami. È stanco di essere il cattivo. Lui non è cattivo: è soltanto il suo lavoro, dice. Ma la gente non lo ama lo stesso“.
Una volpe e un cane che da cuccioli sono molto amici ma che poi si ritrovano uno contro l’altro, la tristezza è dovuta principalmente all’angoscia di Red: l’amico Toby è cresciuto ed è un cane da caccia, la volpe deve nascondersi da lui ma per fortuna l’happy ending è garantito.
Diretto da Henry Selick, ci racconta la storia di Coraline, una bambina solare che vive in un mondo cupo che vorrebbe cambiare. La porta magica che attraversa la catapulta in una dimensione alternativa in cui il mondo reale è completamente ribaltato, tutto sembra più bello ma lo è solo in apparenza, Serrano scrive: “La povera ragazza voleva solo qualcuno che le chiedesse com’è andata la giornata“.
Ma facendo un grande salto nella classifica, che da qui in poi comprende anche “La bella e la bestia” (15%), “Frozen” (17%), “Aladdin” (33%) e “Wall-E” (44%) arriviamo a un altro grande classico:
Anche in questo caso Serrano commenta con molta ironia le situazioni disgraziate vissute dal protagonista: “Mowgli è un orfano, messo in una cesta e abbandonato nella giungla. Viene cresciuto dai lupi e fa amicizia con un mucchio di animali, ma poi lo abbandonano pure quelli. Non capisco perché nessuno vuole bene a Mowgli. Sembra un bravo ragazzo“.
Piccola chicca dell’animazione passata quasi inosservata, racconta la storia del piccolo James che, rimasto orfano, è costretto a vivere con le zie cattive.
Non poteva mancare uno dei grandi cult della tristezza animata, ogni bambino è rimasto colpito dalla morte della madre di Bambi, uccisa da un cacciatore. Anche Serrano: “Questa è stata la seconda più grande devastazione di cui io abbia fatto esperienza da bambino, dopo quella volta che mio padre mi portò dai miei cugini a El Paso, mi lasciò lì quattro settimane e mi convinsi al 100 per cento di essere stato abbandonato”.
La storia di Quasimodo è altrettanto drammatica: la madre viene uccisa dalla polizia perché è una zingara, lui è deforme e si nasconde nella cattedrale di Notre Dame ma quando finalmente trova il coraggio di uscire, la realtà che lo attende non è poi così clemente.
Anche questa è una delle pellicole d’animazione cult con la morte di Mufasa che è l’emblema della tristezza Disney: “Oh no. Il padre di Simba, re delle Terre del Branco, è stato ucciso dallo zio di Simba sotto gli occhi di Simba. Poi lo zio di Simba dà la colpa a Simba e lo invita a fuggire (dopo che Simba ha cercato di risvegliare suo padre morto). Quando Simba accetta di fuggire, suo zio gli manda dietro le Iene per uccidere pure lui. Dopodiché suo zio (presumo) va a letto con la mamma di Simba e diventa re“.
Qui bisogna stare attenti, perché il giornalista ci serve lo spoiler su un piatto d’argento, il film in Italia non è ancora arrivato. Hiro ha 14 anni e decide di costruire una squadra di robot ma, dice Serrano: “Quello che non è figo e non è divertente per niente è perché lo ha fatto. Lo ha fatto perché suo fratello, Tadashi, è morto in un incendio mentre cercava di salvare un professore di cui i ragazzi si prendevano cura. Che già sarebbe una tragedia insopportabile di per sé, ma che in Big Hero 6 è aggravata di circa un miliardo per cento dal fatto che anche i genitori di Hiro sono morti”.
La morte della mamma uccisa da un T-Rex non ha bisogno di molte argomentazioni. Poco tempo fa è stato fatto notare, infatti, come nei film d’animazione le figure dei genitori siano sempre poco fortunate e i figli ne paghino, ovviamente, le conseguenze.
Stiamo arrivando ai livelli di tristezza più alti: il burattino di legno che sogna di diventare un bambino vero: “Contro ogni previsione, la marionetta prende vita solo che il piccolo non è proprio un bambino vero, è ancora un pupazzo, peraltro affetto da una rarissima malattia che gli provoca l’allungamento del naso ogni volta che mente. Poi viene catturato e fatto esibire come fenomeno da baraccone. Riesce a scappare, ma finisce in un’isola in cui i giovani vengono trasformati in asini, e in cui sviluppa un problema con l’alcol e il fumo. Geppetto, col cuore infranto e convinto di aver perso suo figlio di legno, si mette a cercarlo. Viene mangiato da una balena“.
Il pesce pagliaccio dalla pinna atrofica è il protagonista di uno dei film d’animazione più amati di sempre. Marlin, il padre del piccolo Nemo, non solo deve fare i conti con la morte della moglie e la perdita di ben 399 figli, ma deve andare alla ricerca dell’ultimo sopravvissuto, catturato dagli umani.
A trionfare in questa classifica è però un altro capolavoro della Disney Pixar e si tratta di “Up“: “Gesù. Senza esagerare, davvero, il montaggio di immagini dal-matrimonio-alla-morte con Carl e sua moglie all’inizio di questo film sono i 4 minuti e 18 secondi di film più devastanti di tutti i tempi. Non ce la faccio nemmeno a mettere il video. Non ce la faccio neanche a pensarci. È troppo reale. Troppo reale. Troppo, troppo, troppo reale. In questo caso non ci stanno alieni o draghi o personaggi di finzione ad alleviare il dolore. Carl è il più triste di tutti. Oh, cielo, sto piangendo di nuovo“.