Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Agosto 16th, 2017 | by Alessandro Testa
Quando si parla in questi termini di una serie capolavoro come Game of Thrones verrebbe da pensare che chi scrive sia vittima della stessa follia del vecchio re Aerys Targaryen.
Una serie che fa milioni di spettatori in tutto il mondo e il pieno di Emmy Award, è morta o almeno in procinto di farlo?
Come ci si può domandare una cosa simile?
Piccola premessa. Game of Thrones resta una serie eccezionale. Un susseguirsi di emozioni, scelte registiche e di sceneggiatura impareggiabili tanto da poter definire alcune puntate l’Anno Zero delle serie tv.
“C’è un Prima e un Dopo Game of Thrones”.
Merito non solo dei produttori, ma anche di George R.R. Martin, lo scrittore della saga di romanzi da cui la serie è tratta (“A Song Of Ice & Fire“) che ha dalla sua il coraggio di creare e distruggere i personaggi come solo un dio antico sapeva fare: con coraggio, ingiustizia e un pizzico di sadismo. Unico neo di Martin è la sua velocità di pubblicazione che ha costretto i produttori a scrivere di loro pugno il prosieguo della storia.
Detto ciò, è altresì vero che la serie nelle ultime stagioni ha indubbiamente modificato il suo stile, diventando qualcosa di diverso da ciò che era inizialmente. Alcuni climax sono forzati, altri prevedibili, o peggio ancora banali. Il respiro genuino e scorretto di Game of Thrones è più flebile, come racchiuso in un sacchetto di plastica che lo soffoca lentamente. E’ stato quello il momento in cui le cose sono andate a peggiorare, a poco a poco? Il passaggio di testimone da uno scrittore senza remore a una produzione con (per carità, più che lecite) logiche di marketing?
Può darsi. C’è un Prima e un Dopo Game of Thrones anche in un senso più negativo, individuando il punto di rottura alla fine della quarta stagione.***
Per giungere alla conclusione – forse affrettata, forse no – che dà il titolo all’articolo, in queste settimane ho cercato di scovare opinioni che confermassero il sentore che avevo da qualche stagione; e devo ammettere che non è stato semplice trovarli, sperduti in un mare magnum di elogi e inni alla gioia per il prodotto Game of Thrones. Alcuni di quelli che ho trovato hanno colto nel segno, sono ben scritti e analizzano nel dettaglio alcuni aspetti che cercherò di racchiudere in alcuni punti, segno che molto spesso sono le critiche piuttosto che gli elogi ad arricchire una discussione costruttiva.
C’era una cosa che nelle prime stagioni adoravo di Game of Thrones, lo scambio di battute: vive, brillanti, interessanti, mai di troppo e mai scontate. Anche nei lunghi e tanti momenti di calma e poca azione i dialoghi erano trascinanti e intelligenti, perfettamente funzionali allo scopo per i quali esistono: mandano avanti la storia e caratterizzano i personaggi.
Tyrion aveva battute sagaci e taglienti, divenute una rarità col passare delle stagioni. E in alcuni momenti l’ironia ha fatto posto a piccole battute di spirito, poi alla buffonaggine. In una serie così piena di cose da dire, sprecare battute e scene per “fare conversazione” è un vero peccato.
Ma i personaggi che a mio parere hanno subìto di più questo passaggio sono stati Lord Baelish e Lord Varys, i due strateghi dalla lingua biforcuta e l’animo viscido. Uno dei momenti migliori della serie, a livello di dialogo, è stato il loro incontro. Punto per punto i due si sono fatti una guerra violenta a colpi di lessico e sottintesi da manuale. In un mondo di cavalieri che lambiscono le loro spade in maniera brutale, le loro erano eleganti stoccate di fioretto.
Violento è bello. Game of Thrones è brutalità allo stato puro e nelle ultime stagioni si è acutizzata divenendo sempre più presente. Ed è proprio questo ciò che non va: è troppo violento. Spieghiamoci meglio.
Come sottolinea un articolo del Washington Post, riproposto in italiano da Il Post, fin dalle prime stagioni siamo stati abituati a vedere scene scioccanti che però avevano una loro utilità. La decapitazione di Ned Stark funzionava perchè “ci fa capire quello che personaggi come Cersei Lannister (Lena Headey) hanno fatto e sono disposti a fare per sopravvivere”. Stessa cosa per le Nozze Rosse: accoltellamenti e deturpamento di cadavere erano funzionali alla trama, descrivevano il rancore covato da una famiglia nei confronti degli Stark.
Nel cuore di GOT scorre il sangue, pertanto i produttori devono aver pensato che mostrarlo ancora più spesso sarebbe bastato per accontentare i fan della serie. Proprio questa ripetizione a mostrare la violenza ha fatto sì che divenisse monotona e non del tutto necessaria. L’inquadratura che indugia sul giovane Olly, fatto impiccare da Jon Snow, è più un contentino per il pubblico, che un passo in avanti della narrazione: sappiamo già che è stato impiccato, ma è bene mostrarlo a tutti, altrimenti si potrebbe supporre che non sia morto (qualcuno ha detto Olenna Tyrell?).
Stessa cosa per Ramsey Bolton che scatena i suoi cani, scena che in termine di sviluppo di personaggi non regala niente di nuovo. E ancora, per arrivare a tempi recenti, Euron Greyjoy che assalta la nave di Theon e Asha trucidando le comparse.
Ultimamente GOT si sta adattando a mostrare scene di violenza che scioccano solo in superficie, senza colpire psicologicamente. Facciamo un esempio.
L’immagine di un bambino gettato da una torre è brutale anche se non si vede esplicitamente il corpo cadere a terra. Fa male anche solo immaginarlo, pur non vedendolo sfracellarsi.
La stesso risultato non si ottiene invece in qualsiasi battaglia, anche se piena di decapitazioni, menomazioni o uccisioni di comparse random. C’è una differenza tra la violenza psicologica e il disgusto.
Un ossimoro interessante riguardante GOT è la definizione di violenza buonista.
Non poco tempo fa lessi un articolo su Film Post che sottolineava la perdita di quelle zone grigie che coloravano i personaggi del Trono. Non c’era mai una netta distinzione tra buoni e cattivi, tra personaggi positivi e negativi, il che rendeva anche difficile parteggiare per qualcuno in particolare.
Se mi avessero chiesto qualche stagione fa quale casata mi “rappresentasse” o quale fosse il mio personaggio preferito, avrei avuto difficoltà a scegliere. Forse Lord Baelish, seppur così subdolo e indecifrabile. Oppure Stannis Baratheon, nonostante la sua cieca e folle religiosità.
Al momento le cose appaiono molto più semplici, con i Lannister che incarnano il potere autoritario e tiranno, e gli Stark che capitanati dal diplomatico Jon Snow vogliono ristabilire la pace nel mondo. Le uniche forme di nebulosità sono rappresentate dall’affezione che si provano per alcuni personaggi che si trovano nelle une o altre case (Jaime e Tyrion Lannister), per cui è difficile sperare nella loro distruzione totale.
Molti omicidi non avevano motivazioni, o meglio, ne avevano soltanto una: io sono il re e faccio quello che voglio.
Jon Snow credo rappresenti perfettamente il buonismo che sta rovinando la bellezza della serie. In un perfetto stile “From Rags To Riches”, traducibile in italiano con “dalle stalle alle stelle”, il suo personaggio si è trasformato in un pupazzo ricolmo di valori del tutto anacronistici. L’uomo che ha perso tutto e che con perseveranza e giustizia rialza la testa è una storia che ci piace, ma che non ha nulla a che vedere con GOT e i tempi (fantasy) in cui è ambientato, seppur inventati.
Jon Snow è diventato una figura buona, autoritaria e anche un po’ democratica, che uccide solo se necessario e mai per intimorire possibili traditori. Si è rabbonito e per questo il personaggio sembra involuto.
Un ulteriore elemento a sfavore è rappresentato da alcune scelte narrative che sono state prese nel corso degli ultimi episodi, in particolare nella settima stagione.
In un mondo così complesso, narrativamente parlando, in merito ad alcuni problemi ci saremmo aspettati delle modalità di risoluzione altrettanto complesse e geniali, come ad esempio nel caso del morbo grigio che affligge Jorah Mormont. Utilizzare la tecnica della “scarnificazione più crema miracolosa” sembra una scelta un po’ poco fantasiosa rispetto alle aspettative ed ha inoltre la colpa di sminuire la gravità dello stesso morbo, inizialmente presentato come malattia tremenda e incurabile. Una soluzione così semplicistica ha la conseguenza di andare a colpire retroattivamente la credibilità creata fino a quel momento. Il morbo sembra essere semplicemente una brutta malattia della pelle, mentre tutto lasciava presagire andasse a colpire anche gli organi interni man mano che avanzava.
Un’altra scelta un po’ facilona nelle ultime puntate sembra essere l’arma con cui contrastare i draghi di Daenerys: una balestra gigante armata di frecce giganti. Una soluzione che stupisce più per la sua non originalità, che per la sua effettiva utilità. Vedere Cersei Lannister meravigliarsi dinanzi alla potenza di tale oggetto ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, giacché una semplice e macchinosa balestra rappresenterebbe più un tentativo disperato piuttosto che una panacea di tutti i mali draghi.
Un breve accenno anche alle ship che sembrano infiltrarsi sempre più come sottotrame, ovvero gli amori/amicizie/stima reciproca fra alcuni personaggi della serie: Missandei e Verme Grigio, Jon Snow e Daenerys; scelte di appagamento a un pubblico che col passare del tempo necessita di maggiore affezione e coinvolgimento tra i personaggi. E gli autori, influenzati da una clientela che “ha sempre ragione”, danno un colpo al cerchio e uno alla botte avvicinandosi un po’ di più alle sue richieste.
Da quando il termine ultimo per concludere la serie è stato fissato alla stagione 8, i tempi di Westeros sono aumentati vertiginosamente. Questo semplice escamotage è servito per chiudere in fretta le storie esistenti e arrivare a una conclusione coerente. Decisione tutto sommato giusta e concepibile, ma che poteva essere realizzata con un po’ più d’attenzione. Soprattutto in questa stagione (la settima), i tempi si sono accorciati davvero troppo, con i personaggi che si spostano a grandissima velocità passando da una parte all’altra del continente anche solo in poche scene dello stesso episodio.
Erano bei tempi (“lo erano, lo erano” cit.) quando GOT curava con parsimonia i lunghi viaggi che dovevano affrontare Daenerys, o Arya Stark, in terre lontane, perché dava l’impressione che davvero i personaggi fossero in angoli sperduti del mondo, che passassero mesi, forse anni, tra un’avventura e l’altra.
Alla necessità di stringere i tempi poteva fare seguito una coerenza spazio-temporale che permettesse di avere punti di riferimento relativamente agli eventi accaduti, cosa che invece non è avvenuta. Ciò che adesso manca alla serie è un senso dell’orientamento geografico e temporale.
Alcuni spettatori ritengono che sarebbero bastati pochi semplici dettagli: i capelli che ricrescono (oppure Cersei ha apprezzato l’hairstyle dell’Alto Passero?), i vestiti che cambiano, cose così per avere un appiglio sul tempo passato.
Questa mancanza ha indotto i più critici a parlare non più di salti temporali, ma di vero e proprio teletrasporto. Daenerys che da Roccia del Drago decide di partire con Drogon e i suoi Dothraki alla conquista del Trono di Spade trovandola nella scena seguente già ad attaccare i Lannister; Il Folletto che in un’unica puntata (07×05) arriva ad Approdo del Re di nascosto, parla con Jaime, torna a Roccia del Drago e a quel punto Jon Snow parte per la Barriera arrivandoci a fine episodio. Tutto viene così velocemente da disorientare. Eravamo abituati a tempi molto diversi.
Stringere i tempi ha significato cancellare conversazioni e personaggi che invece avrebbero meritato più spazio. Tagliare i “rami secchi” è servito a togliere agli autori eventuali problemi di incastro narrativo, ma al contempo ha ristretto il mondo di GOT trasformando sempre più il finale in un “deathmatch” in cui vincerà l’ultimo che rimane: scelta quantomeno strana in un mondo in cui si è sempre disposti a valutare – di buon grado o no – la resa (Greyjoy ai tempi dei Baratheon; Martell con i Lannister).
E’ un peccato constatare che gli autori nella foga di concludere si stiano totalmente disinteressando a dare un senso a ciò che accade dal punto di vista logico, temporale e spaziale.
Dubbio bonus: In tutto questo traffico ad alta velocità, gli Estranei quanto ci mettono a marciare verso Sud?
E’ sparito il sesso da Game of Thrones. Le belle scene di nudo sono adesso centellinate a dovere. Inizialmente il prodotto GOT era una mina vagante anche dal punto di vista sessuale, non preoccupandosi di mostrare scene di sesso omosessuale, orge e nudità. Le scene di sesso venivano servite con una certa gratuità. Adesso sono state ridotte.
Come mai? Provo a rispondere con un ulteriore azzardo, lasciandomi il beneficio dell’errore. La serie, divenuta famosissima e seguita da milioni di persone con differenti livelli di tollerabilità, ha visto mitigare la presenza di scene che potessero disturbare i più “sensibili”. In questo modo GOT è diventata una serie più alla portata di tutti, quasi generalista.
Game of Thrones come già resta una serie di altissima qualità, che ha delle scene forse superiori a quelli di film hollywoodiani. I costi e la qualità di alcune battaglie sono di grande livello e quando terminerà la saga sarà difficile trovarne un’altra di pari grado.
I produttori hanno intrapreso una strada diversa, ma hanno promesso che giungeranno allo stesso finale previsto da George R.R. Martin. La sensazione è che furbescamente stiano prendendo alcuni sentieri più semplici per arrivare all’obiettivo finale ed è ciò che ad alcuni spettatori non va giù.
“Non è la destinazione, ma il viaggio che conta”. Questo è quello che devono tenere a mente i produttori.
Quando si cerca di portare avanti una storia meravigliosa si ha una responsabilità enorme perché ogni piccolo passo falso rischia di minarne la credibilità. Game of Thrones ha questo problema: è stata talmente perfetta nelle prime stagioni, che adesso ogni scelta infelice si nota come fosse un errore clamoroso. Il brutto sentore è che si stia andando a doppia velocità per portare a termine la serie, vivendo di rendita grazie alla fidelizzazione creatasi nel corso delle stagioni, qualche cameo inutile e scene ad alto budget.
“E’ come se Martin avesse dipinto 3/4 della Mona Lisa e qualcun altro l’avesse finita con Paint” scrisse un utente come commento a un articolo. Una considerazione che pur nella sua esagerazione, rischia pericolosamente di avvicinarsi alla verità.