Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Giugno 5th, 2011 | by Marco Valerio
0La maniacalità, la precisione, la cura e l’attenzione ai dettagli sono peculiarità di Terrence Malick: sia come regista che come essere umano. Non è un caso che in quarant’anni di carriera il regista texano abbia realizzato solo cinque film e tra ognuno di essi sia intercorsa una pausa temporale molto lunga. Se si escludono infatti i vent’anni passati da “I giorni del cielo” a “La sottile linea rossa”, periodo in cui Malick si trasferì a Parigi in una volontaria forma di esilio caratterizzata dallo studio della filosofia orientale e dalle traduzioni dei testi del filosofo tedesco Martin Heidegger, è sempre passato un lungo lasso di tempo tra una pellicola e l’altra. Cinque anni da “La rabbia giovane” a “I giorni del cielo”, sette da “La sottile linea rossa” a “The new world”, sei da “The new world” a “The Tree of Life”. Non è un mistero che la realizzazione di “The Tree of Life”, ora finalmente nelle sale, abbia richiesto infatti tantissimo lavoro in fase di post produzione prima di arrivare a un montaggio definitivo che convincesse del tutto il regista.
Non può, quindi, sorprende più di tanto il fatto che la cura maniacale, ai limiti del patologico, al dettaglio prosegua anche dopo che la postproduzione è terminata, ora che il prodotto finito è arrivato nelle sale cinematografiche. “The Tree of Life” è uscito nelle sale cinematografiche americane lo scorso 27 maggio, ma ottenendo un numero limitato di schermi, destinati ad aumentare una volta testata l’effettiva riuscita commerciale del film e ottenuto un discreto riscontro di pubblico. Solo 4 copie a disposizione per il momento, e una sbalorditiva media per sala, pari a 93,230 dollari, per un totale di 589,840 dollari incassati. Ebbene, quei 4 cinema che hanno proiettato il film neo vincitore della Palma d’Oro a Cannes, hanno ricevuto non solo la copia della pellicola ma anche dei precisi accorgimenti, scritti dallo stesso Malick, da prendere al momento della proiezione. Il regista texano ha così inviato una lettera insieme a ogni copia del film, per assicurarsi che i proiezionisti rispettino una serie di impostazioni tecniche fondamentali, “perché la proiezione cinematografica sta diventando velocemente un’arte dimenticata”. Questi i quattro comandamenti che tutti i proiezionisti d’America (al momento, non è detto che questi dettami presto non vengano distribuiti anche nel resto del globo terracqueo) sono chiamati a rispettare ossequiosamente: 1. Proiettare il film con un aspect ratio di 1:85:1 2. Impostare il fader sui sistemi Dolby e DTS a 7.5 o 7.7 (più alto del valore standard che è 7) 3. Considerata l’assenza dei titoli iniziali, le luci devono essere spente ben prima che inizi la prima bobina. 4. Le lampade di proiezione devono essere settate al valore standard (5400 Kelvin) e il valore di foot Lambert deve essere settato a 14. In queste settimane “The Tree of Life” vede la sua distribuzione espandersi su tutto il territorio americano e prendere, lentamente ma inesorabilmente, la forma di un prodotto di distribuzione mainstream, sfruttando anche l’effetto della vittoria di Cannes e il possibile ruolo da protagonista che svolgerà nella prossima stagione dei premi. Nel week end appena trascorso il film è uscito nei cinema di Dallas, Chicago, Minneapolis, Austin, Atlanta e nella capitale statunitense Washington D.C. Quelle di Terrence Malick sono richieste dettagliate, precise e quasi dogmatiche. Da autentico cinefilo, integralista e folle quanto basta. È indubbio che Malick sia un regista attento a ogni minimo particolare dell’esistenza, filmica e non solo, e che quindi ponga il suo interesse e la sua attenzione anche a quei minimi particolari che potrebbero rovinare una proiezione, nel caso in cui venissero tralasciati. Certo è vero che certi accorgimenti denotano una pignoleria, ma anche un amore per il proprio lavoro e per la resa della propria produzione nel migliore dei modi possibili, vicina alle intenzioni originali dell’autore. E visto il livello spesso bassissimo, per non dire becero, in cui vengono proiettati alcuni film, tra immagini sfocate e pellicole rovinate, i comandamenti di Malick potrebbero diventare vere e proprie regole da seguire in ogni caso. Per non limitarsi a confidare in una buona fruizione spettacolare, ma pretendere una proiezione perfetta, al buio della sala. Un’esperienza fruitiva che si unisce, nel caso specifico, all’esperienza filmica. Insomma la sala cinematografica intesa come un moderno teatro wagneriano alla Bayreauth. Lo schermo come golfo mistico e la sala come luogo di fruizione dell’inverosimile plausibile, reso in una maniera che tende alla perfezione. D’altra parte Terrence Malick è (anche) questo. Fonte: The Playlist