Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Maggio 11th, 2012 | by Marco Valerio
0Summary:
Nel 1750, Joshua e Naomi Cllins, insieme al figlioletto Barnabas, salpano dall’Inghilterra in cerca di una nuova vita negli Stati Uniti, dove riescono a costruirsi un impero nel campo della pesca nella città costiera del Maine che prenderà il nome dal loro cognome: Collinsport.
Due decenni dopo Barnabas (Johnny Depp) ha il mondo ai suoi piedi: signore della tenuta Collinwood Manor, Barnabas è ricco, potente e un vero playboy. Compie però l’errore fatale di innamorarsi dell’affascinante Josette DuPres (Bella Heathcote) e di infrangere il cuore di Angelique Bouchard (Eva Green). Angelique è una vera e propria strega e condanna Barnabas ad un destino peggiore della morte: lo trasforma in vampiro e lo fa seppellire vivo.
Dopo circa due secoli, la tomba di Barnabas viene inavvertitamente aperta e il vampiro si trova catapultato nel 1972. Barnabas fa ritorno a Collinwood Manor e scopre che la sua casa un tempo fastosa, è andata in rovina.
La matriarca di famiglia Elizabeth (Michelle Pfeiffer) è la persona che Barnabas sceglie come depositaria della verità riguardo alla sua identità. Ma il suo comportamento particolare ed anacronistico suscita immediatamente dei sospetti nella psichiatra di famiglia, la dottoressa Julia Hoffman (Helena Bonham Carter). Il resto della famiglia Collins è composto dall’inutile fratello di Elizabeth, Roger (Jonny Lee Miller), la ribelle figlia di Elizabeth, Carolyn (Chloe Grace Moretz) e il figlio di Roger, David (Gully McGrath). Altri abitanti della magione sono il maggiordomo Willie (Jackie Earle Haley) e la nuova tata di David, Victoria Winters (Bella Heathcote), misteriosamente identica all’unico amore della vita di Barnabas, Josette.
Mentre Barnabas cerca di ripristinare l’antico splendore del nome di famiglia, c’è qualcuno che si frappone al suo scopo, vale a dire una rampante imprenditrice di nome Angie che ricorda chiaramente una vecchia conoscenza di Barnabas.
Con “Dark Shadows”, Tim Burton ha adattato per il grande schermo la serie televisiva omonima creata da Dan Curtis. Il risultato finale è ennesima saggio della poetica burtoniana, riproposta nei suoi stilemi e nei suoi riferimenti iconografici, arricchita questa volta da una robusta dose di (auto)ironia e da sporadiche spruzzate di sesso, sangue e rock and roll.
“Dark Shadows” è un prodotto citazionista e postmoderno nella misura in cui attinge a tante fonti di ispirazione (dagli horror di Roger Corman all’omonima serie che sta alla base dello script, passando per la Famiglia Addams o per tutta la casistica letteraria sul tema vampiresco), rielaborandole in uno stile personale e riconoscibile. Forse fin troppo riconoscibile.
“Dark Shadows” finisce quindi per essere un’operazione di maniera in cui Tim Burton commistiona generi, influenze, stili, riferimenti e perfino piani temporali per dar vita ad un prodotto che, nonostante le buone intenzioni, soffre di prevedibilità e di già visto.
Non che “Dark Shadows” non sia un prodotto godibile, tutt’altro: convincente da un punto di vista strettamente formale (con la felice intuizione di commistionare le tonalità dark e gotiche, ormai marchio di fabbrica del cinema burtoniano, con la vitalità esplosiva e colorata degli anni settanta), il film di Tim Burton denota alcune intuizioni felici (come ad esempio l’uso di una colonna sonora d’annata che scandisce, in maniera sincopata, il ritmo della narrazione) ma al tempo stesso si presenta come un punto di arrivo (forse definitivo) nel percorso autoriale del regista.
Divertente, ma prevalentemente divertito, “Dark Shadows” è un ritorno al passato, dopo l’infelice parentesi di “Alice in Wonderland”, che denota una sostanziale incapacità di Tim Burton di rinnovarsi realmente, di tornare a regalare emozioni sincere che non sia dettate esclusivamente dai rimandi alla sua filmografia passata (che anche in questo caso abbondano).
“Dark Shadows” accontenterà i devoti burtoniani, ma non aggiunge pressoché nulla all’opera di un regista che da qualche anno a questa parte sembra essersi impigrito e abbandonato all’affidabilità dell’usato sicuro (dalla “solita” interpretazione al limite della macchietta di Johnny Depp, alle “solite” musiche gotiche e favolistiche di Elfman, alla “solita” forza espressiva dei setting), refrattario a qualsiasi possibilità di mettersi in gioco.
In tal senso Burton sembra più interessato a regalare spettacolo, sacrificando la componente narrativa che si regge (precariamente) su una sceneggiatura piena di buchi, con personaggi monodimensionali, poco interessanti (con l’eccezione della strega interpretata ottimamente da Eva Green, vera sorpresa di un cast per il resto sottotono) e a cui lo stesso regista sembra dedicare poco attenzione, tanto più che alcuni di essi sembrano abbandonati a loro stessi, privi di uno sviluppo, mentre altri non sembrano proprio avere una dimensione drammaturgica che ne giustifichi la presenza sullo schermo.
L’autore di “Edward mani di forbice” o del dittico di “Batman” o dei meravigliosi “Ed Wood” e “Big Fish” sembra davvero aver perso l’estro, la fantasia e la genialità con cui era riuscito a dipingere figure di loser emozionanti ed indimenticabili. Niente di “Dark Shadows” emoziona davvero o può essere considerato indimenticabile (anche per via del massiccio uso degli effetti speciali che rendono abbastanza pacchiano il confronto finale). Il film intrattiene e diletta, ma alla fine l’impressione di autoreferenzialità e scarsa sostanza prevale su tutto.
[starreview tpl=16]