Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Gennaio 16th, 2015 | by Erica Belluzzi
0Summary: Film-denuncia sul maltrattamento delle donne in Etiopia.
Hirut (Tizita Hagere) ha quattordici anni, abita in un villaggio della campagna Etiope e un bel giorno, anzi, un orribile giorno, al ritorno a casa da scuola viene assalita a rapita da un gruppo di uomini a cavallo.
Dopo essere stata violentata e picchiata riesce a prendere un fucile e, nel tentativo di scappare e salvarsi la vita, uccide Tadele, mente del rapimento nonché suo “promesso sposo”. Quella di Hirut è una storia vera ma come lei, nel resto dell’Etiopia rapire giovani fanciulle per poi sposarle è una pratica “normale”, è una antica e ben consolidata tradizione. Contro questa efferata legge tribale si batte con tutta se stessa Meaza Ashenafi (Meron Getnet), una giovane donna avvocato etiope di larghe vedute, che alla sterile vita matrimoniale ha preferito la porta stretta della conoscenza e della lotta non violenta.
Questa, tramite il lavoro di un’associazione di cui fa parte, offre assistenza legale gratuita a coloro che non hanno i mezzi per pagare. Scopo della sua attività è far rispettare la legge dello Stato, invalidando così le decisioni prese secondo consuetudini ancestrali, dal consiglio dei vecchi del villaggio, che vorrebbe che la ragazzina fosse condannata a morte.
Parrebbe una storia di quelle che si leggono sui libri di storia e invece questa vicenda, fin troppo vera, ha avuto luogo nel vicinissimo 1996, in un paese in cui le convenzioni sociali e una forma di patriarcato aggressivo e consolidato avevano (e hanno tutt’ora) la meglio sulla libertà delle donne, vessate e discriminate. Grazie ad una lungimirante regia, Zeresenay Berhane Mehari, nato e cresciuto a tre ore dal paese in ci si svolge la vicenda narrata, ritrae la complessità di un Paese in cui pare si stia cercando di raggiungere una situazione di pari diritti tra i sessi. Coraggiosamente il film si domanda che cosa succeda quando tradizioni tramandate dalla notte dei tempi vengono interrotte, come nel caso di Hirut, che ha rappresentato il primo dialogo civile aperto sulla barbarica usanza della Telefa, pratica di cui si stima sia vittima oltre il 40% delle adolescenti etiopi–. La realizzazione della pellicola è stata una vera e propria battaglia: Zeresenay ha conosciuto Meaza nel 2005 e per tre anni ha intervistato molti di coloro che hanno preso parte alla battaglia legale e visitato i luoghi dove si sono realmente svolti i fatti, ma la crisi del 2008 bloccò il progetto. Negli anni seguenti molti produttori occidentali si offrirono di portare a termine il progetto, ma il regista era inamovibile nella sua posizione: il film doveva essere girato in Etiopia e fruito da coloro che realmente convivono con queste realtà. Qualche anno dopo, grazie all’intervento della dottoressa e antropologa etiope-americano Mehret Mandefro il progetto sembrava aver preso vita, pur convivendo con le enorme difficoltà dell’industria cinematografica etiope: prima di Difret erano stati girati solo tre film in 35 mm. La fortuna arride gli audaci, e nel caso di questa rocambolesca avventura etiope la dea bendata aveva le sembianze di Angelina Jolie che, poco prima della prèmiere al Sundance Film Festival 2014 decise di prendere ufficialmente parte al film in qualità di co-produttrice, regalando alla pellicola una straordinaria attenzione mediatica. Certamente l’intervento dell’attrice premio Oscar ha contribuito moltissimo alla distribuzione del prodotto, ma non bisogna certo mancare di riconoscere al regista e al cast tecnico e artistico un grandissimo coraggio nel sottoporre all’opinione pubblica un tema così violentemente attuale. Non a caso DIFRET è una parola in amarico, lingua ufficiale dell’Etiopia, che ha un doppio significato: può comunemente valere come “coraggio”, ma può anche essere riferito alla violenza sulle donne. Difret, dunque.