Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Aprile 5th, 2012 | by alessandro ludovisi
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Dal trattato del tradimento: come pena per la loro rivolta ogni distretto deve offrire un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni per la “mietitura” pubblica. Questi ragazzi dovranno essere affidati alla custodia di Capitol City e poi trasferiti in un’arena pubblica in cui si batteranno fino alla morte finché non rimarrà un solo vincitore in vita. D’ora in avanti questo evento sarà conosciuto come Hunger Games.
Inizia così, con una esemplificativa didascalia, “Hunger Games” il discusso – e già oggetto di culto – film realizzato da Gary Ross (“Pleasantville”, “Seabiscuit”), adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Suzanne Collins (una trilogia quella realizzata dalla scrittrice che comprende Hunger Games, La ragazza di fuoco e Il canto della rivolta, quest’ultimo ancora non distribuito in Italia) che vede come protagonisti Jennifer Lawrence e (Katniss Everdeen), Liam Hemsworth (Gale Hawthorne) accompagnati da comprimari di assoluto valore come Donald Sutherland, Lenny Kravitz, Woody Harrelson Stanley Tucci.
“Hunger Games” è ambientato in un futuro post-apocalittico – non meglio precisato – dove non vi è più traccia del Nord America, sostituito dallo Stato di Panem formato dalla capitale e lussuosa Capitol City e da dodici – malfamati – distretti periferici. Ogni anno il dispotico regime organizza un cruento evento chiamato Hunger Games in cui si sfidano due rappresentanti (un ragazzo e una ragazza) di ogni distretto. Si vince solo eliminando – fisicamente – l’avversario. Nato come “ricordo” e monito per i distretti l’evento ha trovato con il tempo una consacrazione tristemente ludica trasformandosi in un gioco mediatico seguito e amato dal popolo nel più classico degli esempi di “panem et circenses”.
Nella fase iniziale Hunger Games si trascina faticosamente, presentandoci scene di vita quotidiana della protagonista, una Katniss abile arciere impegnata in una caccia nel bosco e intenta a fare coraggio alla piccola sorellina che – come lei – avrà il nome inserito nel bussolotto degli Hunger Games. Ed in effetti la sventura vuole che sia proprio la piccola di famiglia ad essere scelta come “tributo” del distretto 12. La coraggiosa Katniss a difesa della sorella si offrirà come “tributo volontario” e insieme a Peeta Mellark andrà a formare l’ultima coppia dei giochi. Ventiquattro adolescenti, uno solo resterà in vita. Questione di sponsor, questione di pubblico come spiega il mentore dei due, un alcolizzato e irresistibile Woody Harrelson. In seguito a una fase di addestramento i ventiquattro concorrenti scenderanno in campo per la battaglia ma – e questa è una pecca forse necessaria a causa del braccio violento della censura – l’orrore viene lasciato spesso fuori campo, immaginato (ma non per questo meno efficace). La giovane età dei protagonisti, dopotutto, consiglia una severa attenzione al fine di permettere di mostrare un mondo dispotico con i loro occhi ma senza esagerare nel mostrare il lato cruento del gioco. Mai come in questo caso l’orrore proviene da fuori, dalla divisione tra una capitale ricca, dalle mille luci e dallo sfarzo esagerato in contrapposizione ai dodici distretti periferici economicamente arretrati dove si vive in stile medievale. Preziosa ricostruzione fantascientifica di un futuro tirannico in cui il popolo va tenuto sotto controllo mentre il pubblico va continuamente accontentato con folli pasti a base di violenza. Il pensiero di un potere centrale che – dopo aver represso con la violenza un tentativo di rivolta (da loro chiamato tradimento) – sacrifica adolescenti, o bambini, in nome dell’ordine è un chiaro riferimento alle dittature e alla possibilità di tenere costantemente tutto sotto controllo. La pellicola – che richiama opere come “Battle Royale” o “Rollerball” – si fregia di un montaggio serratissimo e delle inquadrature a spalle del regista che permette una notevole drammaticità nei momenti cruciali del film, soprattutto nel finale. Quello che colpisce di “Hunger Games” è la scelta del cast da Jennifer Lawrence strepitosa eroina a Woody Harrelson mentore dal cuore d’oro e dal vizietto dell’alcool, fino a uno Stanley Tucci straripante one man show dai capelli blu. Ma non sono da meno Liam Hemsworth “collega” del distretto 12, Donald Sutherland nei panni del saggio tiranno e Lenny Kravitz lo stilista “buono”.
Nonostante il canovaccio imponga una chiara ostentazione dell’action, il film spolpa i protagonisti non fisicamente, ma da un punto di vista psicologico riuscendo a fornire ritratti efficaci dei “bambini in guerra”, della lotta alla sopravvivenza inserendo temi sempre graditi come coraggio e amore. Seguendo un percorso lineare – e quindi scusiamo anche l’inizio film faticoso – il film raggiunge un suo ideale climax nella movimentata parte finale nella foresta dove la mano del regista è evidente.
Il rischio di assistere a una pellicola teen stile Twilight era forte ma il film supera ampiamente le polemiche iniziale per andare a presentarsi come un vero e proprio blockbuster, come l’ideale inizio di una trilogia ad alta tensione e con la speranza che nel sequel potremo avere maggiori informazioni sulle dinamiche politiche nascoste di Capitol City, poiché è forse questo il punto debole del film che non chiarisce mai definitivamente gli oscuri giochi di potere.
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