Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Aprile 5th, 2012 | by alessandro ludovisi
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“Hunger”, opera prima di Steve Mc Queen reduce dal successo di “Shame”, sbarca finalmente nei cinema nostrani proponendoci gli ultimi e tormentati giorni di vita di Bobby Sands, l’attivista dell’IRA morto di inedia in seguito a un prolungato sciopero della fame. Nei panni – pochi per la verità – di Sands troviamo Michael Fassbender anch’egli apprezzato protagonista di Shame grazie al quale ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia. La pellicola, una produzione britannica, non ci introduce immediatamente il personaggio principale, partendo dalla scene di vita quotidiana di un secondino del carcere di Long Kesh. Lo vediamo nella vestizione mattutina, nella colazione e intento a controllare minuziosamente la macchina per paura di eventuali ordigni, marchio di fabbrica degli attivisti nordirlandesi.
Una storia commovente quella di Robert Gerard Sands, detto Bobby che parte da un sobborgo a maggioranza protestante di Belfast e si conclude tra le pulite lenzuola di un letto d’ospedale. E mettiamo l’accento sul pulito poiché è paradossalmente una liberazione il potersi addormentare in un più o meno comodo letto dopo aver sofferto nelle fredde e umide e sporche celle del Blocco H di Long Kesh. Mc Queen riesce a ricostruire con sapienza e assoluto realismo quegli ultimi giorni non cadendo nel tranello di creare un biopic parziale. Il suo occhio da spettatore passivo prevale e l’obiettività del film è salva.
La pellicola inizia con un primo piano delle nocche del secondino Raymond che trova refrigerio posando le mani – ferite – sotto un getto d’acqua gelata. Solo trenta minuti dopo la scena sarà ripetuta, questa volta all’interno del carcere, con il dorso della mano insanguinata in seguito alle feroci percorsse perpretrate ai danni dei detenuti del Maze. Il cerchio si interrompe e la quotidianità del prologo viene soverchiata dalla durezza dei pestaggi. Come se Mc Queen volesse improvvisamente decidere di virare e “giustificare” una azione successiva.
Protagonista della pellicola è il corpo, scarnificato, maltrattato, denutrito messo alla berlina, mostrato senza vigore e senza censura. Sin dai primi attimi con i detenuti – a cui non è stato mai concesso lo status di prigionieri politici dalla Lady di ferro – ribelli di fronte alla prospettiva di dover indossare delle divise. La blanket protest con i prigionieri coperti da una umile coperta, la dirty protest con l’abiutudine di cospargere le mura della cella con le proprie feci o rovesciare interi contenitori di urina nel corridoio, sono le uniche armi adottabili per scuotere l’animo dei secondini e l’opinione pubblica.
Nulla viene lasciato fuori campo, l’orrore è in scena e nei pestaggi a ritmo di manganelli che agiscono come crudeli strumenti musicali accompagnati dal suono sordo degli scarponi dei poliziotti ci sentiamo impotenti, come legati, come prigionieri. Ad ogni azione corrisponde una reazione, violenta, smisurata anche se, sono le piccole provocazioni (come consegnare ai detenuti degli abiti sgargianti) a causare delle feroci ripercussioni. La vita carceraria dei detenuti è rappresentata in modo crudo e piuttosto realistico dall’autoerotismo di fronte a una foto ingiallita all’arte dell’arrangiamento nella costruzione di cartine artigianali per il tabacco.
“Hunger” va considerato necessariamente uno dei migliori film sullo stile di vita carcerario, non tanto per la biografia di Sands o degli altri uomini “nudi” come lui, quanto per la capacità di muovere la cinepresa come un occhio inflessibile che non conosce batter di ciglia che non conosce ostacoli, sempre aperto. Come nel piano sequenza di venti minuti – circa – con la camera fissa e i due protagonisti Sands e Padre Moran impegnati in un lungo dialogo scandito dal movimento del ventre del prigioniero e dalle boccate fameliche di nicotina. Una scelta coraggiosa quella del regista (che in Shame ci ha poi confermato alcune qualità stilistiche vedi lo jogging notturno del protagonista o la lunga sequenza musicale con Carey Mulligan che intona New York New York).
Una pellicola di valore assoluto, finalmente in Italia (il 27 aprile grazie alla Bim Distribuzione) dove potremo apprezzare uno strepitoso Michae Fassbender, denutrito, coraggioso, sofferente. Per Mc Queen, una delle migliori opera prima che il cinema ricordi.
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