Recensioni Il padre

Published on Aprile 3rd, 2015 | by Erica Belluzzi

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Il padre: la recensione

Il padre: la recensione Erica Belluzzi
Voto Cinezapping

Summary: Termine della Trilogia sull’Amore, la Morte e il Diavolo.

1.5

Una noiosa lezione di storia


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Poco prima dell’invasione della Polonia, nel 1939, durante un discorso al comando delle SS Hitler ordinò come procedere per la “soluzione finale” e lo sterminio degli ebrei.
Quando qualcuno dalla platea gli fece notare che sterminare milioni di ebrei non sarebbe passato inosservato agli occhi del mondo, egli rispose “chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?”.

La storia ha mostrato che Hitler anche su questo punto si sbagliava.
A mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto degli Armeni (sebbene con questo termine il più delle volte ci si riferisca solo alla loro deportazione ed eliminazione fra il 1915 e 1916, e non più alla campagna condotta contro di loro dal sultano Abdul-Hamid fra il 1894 e il 1896) ci ha pensato anche il cinema, da sempre sacro fuoco della memoria storica. Ecco quindi che dopo Ararat (Atom Egoyan, 2002) e La masseria delle allodole (Fratelli Taviani, 2007), Fatih Akin ha presentato Il Padre (The Cut), in concorso alla settantunesima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove aveva peraltro partecipato alla selezione per il Leone D’Oro (vinto poi da Roy Andersson).
Dopo il pluripremiato La Sposa turca e Ai Confini del paradiso, il film è la conclusione della trilogia sull’Amore, la Morte e il Diavolo.

Il tema è particolarmente caro ad Akin, tedesco di origini turche, come ha avuto modo di mostrare poco tempo fa quando fu investigato dalla polizia tedesca per avere indossato una maglietta con una swastika nazista al posto della lettera ‘S’ nella parola ‘BUSH’. Egli si difese dicendo che “durante il periodo di Bush, Hollywood ha prodotto alcuni film sotto richiesta del Pentagono, per normalizzare eventi come torture compiute dalla polizia di stato o luoghi come Guantanamo. Credo che l’amministrazione di Bush sia stata una sorta di terza guerra mondiale. Credo che sia un fascista”.

Il Padre narra la storia di Nazaret Manoogian (l’attore francese Tahar Rahim, A Prophet) un fabbro che vive con l’amata moglie (la cantante marocchina Hindi Zahra) e le figlie, le gemelle Lucinée e Arsinée (Dina e Zein Fakhoury) e da cui viene separato quando l’impero Ottomano entra nella prima guerra mondiale ed egli, come tutti gli uomini armeni, viene deportato e, dopo interminabili marce della morte, utilizzato come costruttore di strade nel deserto.
L’intero gruppo di lavoratori armeni viene massacrato da banditi e mercenari e sorprendentemente Nazaret riesce a sopravvivere perchè il brigante che gli avrebbe dovuto tagliere la gola (Bartu Kucukcaglayan) gli imprime solo una piccola ferita sul collo, risparmiandogli la vita ma condannandolo così all’afonia. Dal momento che ha perso la voce, Nazaret non è in grado di fare altro che andare alla ricerca dei suoi fratelli armeni morti, in un mondo privo di parole ma colmo di un ridondante linguaggio non verbale, che suggerisce rispetto compassione e disperazione.

Sfortunatamente il resto del film contiene solo pochissimi momenti di toccante realismo, e, dopo i primi quarti d’ora in cui scene di sgozzamento vengono alternate a massacri gratuiti e senza pudore, i cento minuti successivi risultano un accozzaglio di singoli episodi senza alcun legame logico o strutturale che li possa legittimare.
Certo il tentativo di Akin deve essere lodato, dal momento che il massacro degli Armeni non è mai stato, al pari di altri grandi genocidi come quello ebreo, favorito dalla cinematografia mondiale. Tuttavia questo terribile evento occupa solo pochi momenti del film, che, estendendosi per più di due ore, si concentra sulle peripezie che il protagonista deve affrontare per potersi ricongiungere col nucleo famigliare, messo continuamente alla prova dalla sfortuna e dalla cattiva sorte.

Purtroppo Il Padre risulta un film noioso e didascalico, banale nella struttura e imbarazzante nei dialoghi, oltre che mortalmente noioso, nonostante i disperati tentativi di una colonna sonora rock di non farci tornare con la memoria ai film che guardavamo al Liceo durante le ore di storia.

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