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Published on Aprile 23rd, 2013 | by alessandro ludovisi

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Le streghe di Salem: la recensione

Le streghe di Salem: la recensione alessandro ludovisi
Voto CineZapping

Summary:

4

Film Grandioso


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Dopo il celebre dittico su “Halloween”, Rob Zombie ritorna dietro la macchina da presa con “Le streghe di Salem”.

Zombie è ormai considerato un regista cult del cinema horror grazie a un esordio apprezzatissimo dal pubblico come “La casa dei mille corpi” e il suo sequel “La casa del diavolo”. Come consuetudine, ormai,  anche inLe streghe di Salem affida un ruolo da protagonista alla sua compagna di vita, e vera  e propria musa ispiratrice, Sheri Moon Zombie che qui veste i panni di una DJ radiofonica. Nel cast del film troviamo anche Bruce Davison, Patricia Quinn (“The Rocky Horror Picture Show”), Dee Wallace (“Le colline hanno gli occhi”), Meg Foster (“Essi vivono”), Andrew Prine (“La città aveva paura”) e Sid Haig, già protagonista nell’esordio cinematografico di Zombie.

Le streghe di Salem, Sheri Moon Zombie

Trama

Heidi Hawthorne, DJ di una celebre stazione radiofonica di Salem, riceve in regalo un misterioso disco vinile che, una volta fatto girare, sprigiona una sorta di onda ipnotica sulla ragazza e su tutta la città. Il “disco delle streghe” risveglia un orrore antico e viscerale che trasportato nel contesto moderno fa ripiombare la celebre e folkloristica Salem in un cupo  e mai sopito orrore.

Giudizio

Dissacrante, ma attento alle dinamiche del genere di riferimento, Zombie si affida a un soggetto dalla lentezza incantatrice che produce un effetto a dir poco soggiocante nello spettatore. Per il prologo della pellicola il regista si affida a un breve ma suggestivo flashback che racconta della condanna a morte per stregoneria di alcune donne che lanceranno una maledizione sulla città, minacciando di tornare sotto forma di spettri per seminare terrore. Nel ritorno al presente, invece, Rob stabilisce una connessione attraverso il passato grazie a Heidi che ci viene mostrata come una donna dall’apparenza forte – dal look e dai gusti musicali aggressivi – ma in piena lotta contro la dipendenza dalla droga. Sarà proprio lei, involontariamente, a risvegliare il sonno delle streghe cadendo in una sorta di stato catatonico eallucinatorio che scandisce il ritmo della pellicola, teoricamente pacato ma proprio per questo generatore di inquietudine.

Una scena del film

Una scena del film

Scavando nell’orrore gotico americano e in quello che viene classificato come folklore, senza dimenticare che fu storia e dramma, Zombie si affida a uno stile più pulito rispetto alle origini con breve accelerazioni in stile videoclip ma rimanendo fedele a un impegno morale verso una fimografia dell’orrore di riferimento che imponeva, prima delle esplosioni di viscere e sangue finto, una strategia della tensione ben delineata. Sarebbe facile trovare delle affinità con le opere di Polanski e Russell o, ancora, con “L’esorcista” di Friedkin, ma in realtà Zombie non omaggia, non ripropone, ma “adatta” seguendo il suo pensiero che “messo in scena” si trasforma in una orgia visiva dissacrante, blasfema e  terrorizzante.

Indugiando ossessivamente su un angusto corridoio e cadenzando il battito della sua protagonista con una invadente e ammiccante colonna sonora, Zombie sembra volersi guadagnare una sorte di indipendenza spirituale e di conseguenza lavorativa proponendo un soggetto impegnativo e contestualizzandolo in una zona maledetta ma allo stesso tempo  suggestiva.

La deriva psicologica di Heidi, ragazza  difficile con un passato da tossicodipendente e un look non convenzionale, sembra voler rappresentare un simbolo della società, anche e soprattuto moderna, che incapace di riflettere sui propri errori si ostina a volerli ripetere in nome di una fede e di un dogma che è più sinonimo di restrizione che di apertura.

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