Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Giugno 13th, 2012 | by alessandro ludovisi
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Nato nel villaggio di Nine Mile nel 1945 da Norval Sinclair Marley, un capitano di marina “bianco” e da Cedella Booker, una giamaicana “nera”, Robert Nesta Marley, per tutti Bob, è ancora oggi – a più di trent’anni dalla prematura morte – considerato una vera e propria icona, un simbolo di pace per il mondo intero con influenze che esulano dalla semplice messa in scena musicale per spaziare dal sociale, all’impegno politico, alla religione. Utilizzando la sua straordinaria abilità come cantatutore e chitarrista, Marley è riuscito a diffondere messaggi globali di pace e fratellanza, lasciando un ricordo indelebile e una insostenibile amarezza provocata dalla sua scomparsa, avvenuta l’undici maggio del 1981 a soli 36 anni.
Alla regia di “Marley”, il biopic autorizzato dalla famiglia del cantautore, troviamo Kevin Macdonald, talentuoso regista scozzese che esordì nel 1994 con un documentario sulla vita del nonno regista, Emeric Pressburger. Macdonald, premio Oscar per il documentario “Un giorno a settembre” e celebre per la direzione delle pellicole “L’ultimo Re di Scozia”, “State of Play” e “The Eagle”, confeziona un documentario fiume (oltre due ore) di assoluto valore, dotato – e non poteva essere altrimenti – di una nostalgica e avvincente colonna sonora.
Il regista britannico ci racconta la storia di Marley dagli inizi, con la nascita nella parrocchia di Saint Ann nel Middlesex, fino alla morte avvenuta a causa di un cancro che, partito dall’alluce del piede, si è ben presto allargato a tutto il corpo del giovane artista anche a causa della scarsa predisposizione alle cure mediche. Questa dovuta al dogma religioso del rastafarianesimo che impone ai suoi seguaci di mantenere il proprio corpo “integro”.
Non è stata una infanzia felice per Bob anche a causa del suo particolare stato di “meticcio”, anche se lui preferiva non schierarsi, dichiarando di non stare né dalla parte dei neri né dei bianchi, ma solo da quella di Dio. Trasferitosi, a dodici anni, con la madre a Kingston nel quartiere popolare di Trenchtown (a cui dedicò le canzoni Trenchtown e Trenchtown Rock), Marley si avvicinò ben presto alla musica grazie all’amico e collega Bunny Wailer un vero e proprio mentore che lascerà un toccante ricordo di quello che era il suo rapporto con il musicista, inserito nella top 100 dei migliori cantanti del secolo secondo il Rolling Stone. Sono diverse, in realtà, le testimonianze raccolte da Macdonald che ha scavato a fondo negli archivi di famiglia per regalarci una versione esaustiva con dovizia di particolari, alcuni decisamente emozionanti. Proprio nella voce degli “amici” del cantante, nelle parole dei famigliari, di chi gli ha veramente voluto bene, si cela la grandezza di questo personaggio capace di autentiche imprese, come in occasione di un concerto in patria (in nome dell’amore e della pace) di far stringere la mano ai due politici Michael Norman Manley, leader del Partito Popolare Nazionale ed Edward Seaga a capo del Partito Laburista o di essere protagonista sul palco nel simbolico concerto realizzato in seguito all’indipendenza dello Zimbabwe nel 1980.
Kevin Macdonald riesce a trasportare sullo schermo una biografia eterogenea dove i ricordi di Marley vengono espressi non in una forma unica e lineare di idolatrazione. C’è spazio per le polemiche, per le sfaccettature ciniche ed egoiste del cantante e per la promiscuità famigliare (7 figli da undici mogli). Il regista britannico firma un documentario dall’alto valore tecnico con una ricostruzione adeguata e i giusti tempi musicali, attingendo a impressionanti immagini di repertorio che si vanno ad alternare agli interessanti – e a tratti divertenti – racconti degli amici del cantante. Ne emerge un ritratto unico che permette alle generazioni più giovani di “intuire” il fenomeno Marley, un uomo capace con la sua musica e brillanti aforismi di condizionare platee intere, di spezzare equilibri politici, di professare una incondizionata fede nella religione (con il passaggio dal Cristianesimo al Rastafarianesimo) e di resistere a un sanguinario attentato che gli suggerì un momentaneo esilio in Inghilterra. Nell’ultima parte dell’opera di Macdonald è invece la malinconia a farla da padrone, poiché la fine della messa in scena coincide con la morte del cantante, dopo una travagliata permanenza in un ospedale tedesco.
Apprezzabile, rigoroso e consigliato ai fan – e non solo – “Marley” sarà distribuito in Italia dalla Lucky Red il 26 giugno e sarà disponibile in streaming anche sul social network Facebook.
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