Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Aprile 24th, 2012 | by alessandro ludovisi
0Summary:
“Maternity Blues”, di Fabrizio Cattani, è stato presentato – con successo – nella sezione Controcampo italiano al Festival di Venezia del 2011 e in concorso nella rassegna cinematografica Bari International Film Festival del 2012. Sceneggiata dallo stesso Cattani e da Grazia Verasani, la pellicola è una trasposizione cinematografica dell’opera teatrale “From Medea”. Nel cast: Andrea Osvárt (Casanova, “Il rabdomante”), Monica Bîrlădeanu (“Vallanzasca – Gli angeli del male”), Chiara Martegiani (“Un gioco da ragazze”), Marina Pennafina (attrice di teatro già vista in alcune produzioni televisive italiane da “Un posto al sole” a “Carabinieri” a “Un medico in famiglia”) e Daniele Pecci (“Mine vaganti”).
Quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l’infanticidio. All’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario, trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze. Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell’altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti. Clara, combattuta nell’accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di una esistenza basata su un’apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza madre ha affogato la figlia nella vasca in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa, sarà l’unica a compiere un atto definitivo verso se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai.
Nel 2002 l’omicidio di Samuele Lorenzi ad opera della madre, Annamaria Franzoni, sconvolse l’Italia intera, riempendo per giorni, settimane, mesi, pagine di giornali e intere sessioni dei tg. Tralasciando le lungaggini nonché contraddizioni della vicenda giudiziaria, quello che resta è l’immagine di una donna capace di donare la vita e allo stesso tempo di toglierla, pochi anni dopo. Da sempre l’ infanticidio è considerato strettamente legato alla condizione della donna e alla sua debolezza e fragilità psicologica. Su questa condizione femminile riflette il regista Cattani capace di mettere in scena un’opera difficile e intensa che permette di ragionare sulle conseguenze della post maternità, ma, sarebbe meglio dire, post-parto, poiché “Maternity Blues” è raccontato dalle donne ma induce a una più attenta riflessione soprattutto l’universo maschile. La sindrome di Medea, la figlia della Maga Circe che uccise i suoi figli in una sorta di atroce vendetta contro il marito Giasone, è indebitamente associata alla figura materna, nonostante la tragica pratica dell’uccisione del proprio pargolo abbia radici storiche (basti pensare alla Sparta del 500 a. C). L’infanticidio non è commesso esclusivamente dalle donne, e lo dimostra il terribile fatto di cronaca con protagonista un ragazzo romano, di soli 26 anni, capace di gettare il proprio figlio nel fiume Tevere.
“Maternity Blues” ci conduce tra le mura di un ospedale psichiatrico giudiziario facendoci conoscere il punto di vista di quattro donne tra cui Clara, l’ultima arrivata e vero fulcro della narrazione. La sua storia viene alternata con le vicende del marito, distrutto dall’omicidio dei due figli ed emigrato verso la Toscana nella speranza di una nuova vita. Nonostante la lontananza i due matureranno un senso di colpa condiviso mitigato dalla routine lavorativa: lei, da detenuta, lui, da gestore di un bar nella città di Massa. Sullo sfondo le vicende delle compagne di Clara: Eloisa, promessa della musica italiana dallo sguardo aggressivo e apparentemente solitaria, Rina una ragazza madre che intrattiene una relazione epistolare con un giovane e Vincenza, la grande del gruppo con ancora due figli fuori che allieta il dolore scrivendo quotidianamente su un diario che spera di poter, un giorno, recapitare alla prole.
Le quattro sono unite da una comune mancanza di senso materno ma è proprio su questo che si concentra l’opera sceneggiata da Cattani e Verasani: l’obiettivo è mostrare come dietro alla patologia psichiatrica si nasconda una assenza della figura paterna, assenza ancora più grave se pesata nella società attuale nella quale l’immagine della donna che accudisce la famiglia è decisamente obsoleta. “Maternity Blues” mostra delle donne ritenute malate ma, allo stesso tempo, riflette sulla figura maschile, dal marito di Clara troppo preso dal lavoro, al compagno di Vincenza troppo preso da altre donne, al ragazzo di Rita, probabilmente troppo immaturo per prendersi le proprie responsabilità.
Una pellicola coraggiosa che trae forza dal racconto dei personaggi, cercando di portare alla luce una situazione troppo spesso trascurata mantenendo una neutralità tutto sommato giusta e arricchendo la storia con preziosi flashback necessari per la ricostruzione del torbido passato dei protagonisti. Nonostante mantenga una linea piuttosto piatta – tranne un paio di brusche deviazioni -, Cattani riesce a tenere viva la storia condendo con abbondanti dialoghi una torta rimasta troppo a lungo congelata e finalmente pronta per il banchetto.
[starreview tpl=16]