Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Dicembre 5th, 2013 | by sally
0Summary: Sebastian Mez lascia che siano le immagini a parlare, regalandoci un documentario che non sa puramente di denuncia ma scorre poetico, tra numerosi silenzi.
Il Festival dei Popoli a Firenze ci ha offerto un vastissimo programma di documentari, tutti molto interessanti, oggi vi raccontiamo di “Metamorphosen” di Sebastian Mez.
Si tratta di un’opera che offre un importante spunto di riflessione ma in cui il tocco del regista non è mai invadente, anche se chiaro e determinato. Mez ha scelto molti silenzi per raccontare la sua storia, quella di una zona remota degli Urali meridionali contaminata per 20.000 Km2 dalle scorie nucleari.
Tutto parte da lontano, era il 1957 quando ci fu l’esplosione della centrale nucleare, aveva già contaminato un’area molto vasta ma nessuno ne ha mai parlato; nel corso dei decenni successivi sono avvenuti altri incidenti e la gestione del territorio è stata praticamente inesistente, la popolazione che vive lì è contaminata, muore di tumori, i bambini nascono con malformazioni, lo stesso vale per gli animali. Una situazione incredibile in cui il male, quello delle radiazioni, non si può mostrare se non tramite gli strumenti che servono a misurarle, ma che Sebastian Mez ci mostra attraverso le immagini e le parole di chi quei luoghi li vive quotidianamente, lottando contro malattie, pregiudizi ed un Governo che da sempre li ha dimenticati.
La particolarità di “Metamorphosen” è che dovrebbe essere un documentario di denuncia ma non si presenta con tono accusatorio, ed ha un diverso modo di raccontare le storie. La prima cosa che non si può fare a meno di notare è la fotografia, sublime e di forte impatto, che Sebastian Mez sceglie come principale mezzo di comunicazione, ancor più delle immagini in movimento. Il territorio è povero, non offre molto da mostrare se non foreste di betulle o la steppa innevata, fiumi e laghi radioattivi, case fatiscenti. I volti delle persone sono intensi, fissano la videocamera e dicono tutto, anche senza parlare.
Di parole, infatti, ce ne sono poche, quelle che bastano per non trasformare “Metamorphosen” in un attacco aperto contro il Governo Russo e la pessima gestione della situazione. Piccoli gesti di vita quotidiana, dall’uccisione di una pecora alla preparazione del té, bambini che ballano e giocano all’asilo, guardie forestali che fanno di tutto per tenere unito quel poco che di buono è rimasto di quella natura privata della sua essenza, contaminata, malata e assassina.
Sebastian Mez racconta tutto senza mai essere invadente, lascia che sia l’interlocutore a parlare e regala grandi silenzi in cui il ruolo importante lo giocano i suoni e le immagini; il suo film non diventa una sfilata di freaks affetti da malformazioni, non mostra gli effetti diretti della contaminazione nucleare ma allo stesso tempo riesce a raccontarli e ad esplicitarli attraverso un linguaggio più poetico ed artistico, a dispetto di quello del documentario a cui siamo abituati, con telecamere sempre in movimento e tanti discorsi, tra esperti e testimonianze. Intenso, discreto e delicato allo stesso tempo, “Metamorphosen” è una versione originale e alternativa del documentario ed una finestra aperta su un mondo che nessuno di noi aveva mai conosciuto prima d’ora.
Il trailer
Foto: Sito ufficiale