Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Aprile 9th, 2014 | by alessandro ludovisi
0Summary: Il primo lungometraggio di Mike Flanagan ha delle pecche ma rimane convincente, con una regia asciutta ed essenziale nè eccessive pretese.
Oculus, primo lungometraggio del talentuoso Mike Flanagan, è uno degli horror più attesi della stagione cinematografica.
Il film è basato su un corto dello stesso Flanagan che ottenne un enorme successo nel circuito mondiale dei festival horror. Il corto di Oculus era interamente ambientato all’interno di una unica stanza bianca e aveva un solo personaggio, ma sufficiente per creare un immaginario interessante ed innovativo, nonostante un budget di soli 2.000 dollari.
La famigla Russell è stata colpita da una terribile tragedia che ha per sempre segnato la vita dei due fratell Tim e Kaylie. Il primo, rinchiuso in un ospedale psichiatrico per dieci lunghi anni, una volta uscito decide di lasciarsi tutto alle spalle ma l’incontro con l’amata sorella, intenzionata a fare chiarezza sugli eventi che distrussero la sua famiglia, lo costringerà a ricordare un doloroso e oscuro passato segnato da una entità maligna che risiede all’interno di uno specchio.
Così come nel corto di riferimento, Flanagan ha avuto a disposizione un budget piuttosto risicato, una condizione che non ha però minimamente influito sul risultato finale. Oculus si fregia di una sceneggiatura minuziosa che intende dare ampio respiro alla condizione umana, al passato e al presente dei sui protagonisti, nutrendosi delle loro paure – e delle nostre, in una accezione ancestrale – per una costruzione diegetica che si basa soprattutto su una caratterizzazione forte dei personaggi in scena.
Nella prima parte il film sembra voler strizzare l’occhio a un certo filone metalinguistico che negli ultimi anni, causa anche l’epoca dell‘ubiquitous computing, ha trovato spazio anche all’interno di logiche cinematografiche consolidate. Quindi: ampio spazio a computer, videocamere e telefoni cellulari di ultima generazione per avvalorare la tesi sulla presenza di una entità maligna all’interno di un antico specchio. In seguito si verifica una frattura nella narrazione che, con la presenza passiva dello specchio stesso, si sviluppa in una serie di convincenti ed inquietanti ellissi fino a relegare gli stessi protagonisti in un medesimo piano temporale con le loro proiezioni passate. I flashback vanno quindi a confendersi con le azioni compiute in tempo reale e lo specchio diventa finalmente protagonista attivo, mostrandosi decisamente subdolo e ingannatore.
Nonostante possa mostrare dei limiti, soprattutto nella messa in scena di alcuni clichè tipici, Oculus convince a più riprese confermando quanto di buono si era intravisto nel corto. La fotografia di Michael Fimognari è eccellente e restituisce una chiarezza visiva invidiabile, in una condizione di partenza indubbiamente non facile considerata l’alternanza e l’intrecciarsi di due distinte realtà temporali, mentre la regia di Flanagan è asciutta ed essenziale. Senza voler strafare, il regista statunitense ci propone quindi un horror decisamente interessante e originale che accusa qualche colpo a vuoto, soprattutto nella reiterazione degli eventi finali, ma che conferma le capacità autoriali del giovane cineasta.