Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Ottobre 22nd, 2013 | by alessandro ludovisi
0Summary: Tragicommedia raffinata ed elegante che lascia la libertà di scegliere tra un punto di vista collettivo da osservatori neutrali dei fatti o più personale.
Opera prima di Jan Ole Gerster, “Oh Boy- Un caffè a Berlino” è uno dei titoli più interessanti della stagione. Il film, ambientato nella capitale tedesca, è interpretato, tra gli altri, da Tom Schilling (visto in “I ragazzi del Reich”), Friederike Kempter, Marc Hosemann, Katharina Schüttler e Ulrich Noethen.
Il film racconta una giornata del giovane Niko Fischer ex studente di Legge, alla ricerca disperata di un caffè per le vie di una popolatissima Berlino. Nell’arco di ventiquattro ore ritroverà vecchie compagne di scuola, irromperà insieme ad un amico sul set di un film, parteciperà a prime teatrali e dovrà confrontarsi intimamente con la sua inerzia e con un modo di agire che, piuttosto abulico, lo ha portato ad allontanarsi dalla famiglia e da vecchi amori.
Dai titoli di testa, rispettosi del miglior Woody Allen, si intuisce l’elegante canovaccio di una pellicola che, senza eccessi e seguendo un percorso temporale piuttosto lineare, ci racconta una giornata “qualsiasi” di Niko Fischer, un ragazzo che, apparentemente senza ambizioni, sembra abbandonato al vagare completo, circondato da personaggi strampalati che circoscrivono la sua presunta normalità ma, allo stesso tempo, ne accentuano la diversità.
L’utilizzo completo del bianco e nero, per donare allo spettatore un ambiente meno naturale, la scelta di una sonorità Jazz e una strizzata al cinema della Nouvelle Vague, sono gli ingredienti principali di un film capace di guardare al passato (come nel drammatico aneddoto di memoria nazista) e al futuro, con una rappresentazione teatrale, di difficile fruizione, della multietnica capitale tedesca, fucina di nuove dimensioni culturali ed artistiche spesso destinate ad un pubblico di nicchia.
Ma è anche la Berlino dell’uomo ferito e disperato per il cancro della moglie, la Berlino dello psicologo ambiguo indecifrabile e vendicativo, la Berlino dei ricchi che giocano a golf, delle cameriere che parlano inglese, della globalizzazione che tutto inghiotte e amplifica portandoti ad essere un piccolo punto in un universo esteso. Un po’ come deve sentirsi lo stesso Niko che considera una impresa il poter bere una tazza economica di buon caffè. Una missione apparentemente semplice che funziona come dinamo del film permettendo al protagonista di vivere una piccola odissea personale misurandosi con punti di vista probabilmente mai esplorati prima. Come se fosse giunto il momento del risveglio mentre Berlino, la Berlino in bianco e nero di Gelster, corre a velocità folle, verso le avanguardie provando a lasciarsi alle spalle il doloroso passato.
Il regista e sceneggiatore tedesco realizza una tragicommedia raffinata ed elegante lasciandoci la libertà di scegliere tra un punto di vista collettivo da osservatori neutrali dei fatti o più personale, empatizzando con le bizzarrie dei protagonisti e con lo stato d’animo di Niko. Nel comportamento del ragazzo, alla ricerca di risposte a domande che probabilmente mai si è realmente posto, si nasconde una condizione anche tipica della nostra epoca che non sempre fa rima con vittimismo ma rappresenta un esilio volontario dai collegamenti con gli altri. Con la possibilità, però, grazie a una scintilla, di poter riattaccare la spina.