Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Marzo 2nd, 2012 | by alessandro ludovisi
0Summary:
“Pollo alle prugne” è l’adattamento cinematografico della graphic novel realizzata dalla talentuosa artista iraniana Marjane Satrapi che si cimenta, nuovamente, nella settima arte cercando di bissare il successo ottenuto con “Persepolis”. Al suo fianco, ancora Vincent Paronnaud. Attori in carne ed ossa, questa volta, da Mathieu Amalric (Nasser Ali) a Edouard Bear (Azrael) passando per Maria de Medeiros (Faringuisse), Golshifteh Farahani (Irane) e Isabella Rossellini (Parvine).
La vita è un sospiro. E Nasser Ali impara a catturarlo con la sua musica. Con la quale per tutta la vita suonerà il suo amore negato. Poi sposa una donna che non ama. Che un giorno, per un litigio, gli distrugge irreparabilmente il suo Stradivari. Nasser parte alla ricerca di un nuovo violino. E incontrerà diavoli, matti, saggi e amori perduti. Fino a quando il sospiro della vita non svanirà per sempre.
Siamo nell’Iran degli anni cinquanta, quando la rivoluzione culturale e religiosa è ancora lontana e il paese è un crogiolo irresistibile dalle forti tinte occidentali. Di veli neanche l’ombra mentre si da grande importanza all’arte, come quella di Nasser Ali che si esprime attraverso le quattro corde del suo violino, uno Stradivari rarissimo ereditato dal suo maestro di musica, un filosofico santone con tanto di abbigliamento bianco e barba folta. Nasser, da piccolo pessimo alunno, trova nella musica il suo riscatto sociale divenendo uno degli artisti più apprezzato in patria e nel mondo. Ma nasconde un segreto: egli suona per allietare il suo dolore, causato dalla perdita della donna amata e ogni nota diventa uno struggente ricordo. Nasser è un violinista triste, non sopporta la moglie, poco comprensiva e tremendamente autoritaria con i due figli. Crudelmente, durante una fervente discussione con il marito, distrugge il suo prezioso Stradivari lasciandolo “nudo” senza più la possibilità di esprimersi, senza più la possibilità di suonare poiché nessun violino potrà mai riprodurre il suono del suo vecchio strumento. Ed ecco, forse inevitabile, che arriva la draconiana decisione: Nasser decide di porre fine alla sua vita rinchiudendosi nella sua stanza, tra una sigaretta e l’altra lasciandosi andare a innumerevoli viaggi mentali tra passato, presente e futuro che ci permettono di ricostruire la sua storia. Solo otto giorni, poco più di una settimana per incrociare lo sguardo dell’Angelo della morte, Azraele. Le interminabili giornate passate nel letto senza cibo e in pigiama, sono l’occasione, per Nasser, di ricordare l’incontro con la sua amata, quella Irane dal padre poco comprensivo, sono l’occasione per immaginare il futuro del figlio maschio “maleducato”, sono, ancora, l’occasione per pensare a quello che il futuro ha in serbo per la figlia, per sognare il proprio funerale, per ricordare il maestro di musica e quello delle elementari. Ma sono, soprattutto, otto giornate per cercare un congedo con onore, poiché la sua vita non ha ormai più un senso, senza musica, senza la possibilità di apprezzare i colori, di sentire i sapori ed è esemplificativa la scena in cui rifiuta il famigerato “Pollo alle prugne” cucinato dalla moglie Faringuisse. Rifutando il piatto di cui andava ghiotto, Nasser lascia trapelare tutto il suo dolore per una vita non desiderata.
Dagli autori di “Persepolis” ci arriva una pellicola drammatica di grande impatto con attori in carne ed ossa, tra cui spicca il bravissimo Mathieu Amalric. “Pollo alle prugne” appare come un mirabolante esperimento estetico, una pellicola in cui convergono una serie sconfinata di generi, dal fantasy, al melodramma all’italiana passando per la sit com (con annessa strepitosa parodia dell’American Dream tra armi, e figlie obese), il fantasy in senso stretto e una breve sequenza pulp che tanto farebbe piacere ai Tarantino e Rodriguez vari. Ma “Pollo alle prugne” è anche un omaggio a quella terra che non c’è più, un Iran segnato e cambiato in seguito alla rivoluzione di Khomeyni che ora mostra il suo lato più integralista, mentre “ai tempi di Nasser Ali” appariva come una Parigi mediorientale.
Stilisticamente la pellicola presenta varie analessi e prolessi, non rispettando quindi la continuità narrativa ma, dipanandosi tra i vari flashback, riesce a mostrarci il lato più umano dei protagonisti per poi lanciarsi in un vivace finale in cui tutti i pezzi del puzzle si ricompongono al batter di ciglia – mimato – della telecamera.
Consigliatissimo
[starreview tpl=16]