Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Febbraio 12th, 2013 | by Marco Valerio
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Steve Butler (Matt Damon) è un agente di vendita di una grossa società il cui percorso da ragazzo di campagna a uomo d’affari in carriera prende una piega inaspettata quando arriva in una piccola città dove è costretto a misurarsi con un sorprendente gruppo di individui che mostra una sincera cordialità e un’inamovibile determinazione. Steve viene inviato nella cittadina rurale di McKinley insieme alla collega Sue Thomason (Frances McDormand). La città è stata colpita duramente dalla crisi economica degli ultimi anni e i due consumati venditori sono convinti che gli abitanti accetteranno con grande sollievo l’offerta della loro azienda di acquisire i diritti di estrarre gas naturale dalle loro proprietà.
Quello che, sulla carta, doveva essere un lavoro facile e un soggiorno breve diventa per i due uno spinoso rompicapo, sia sul fronte professionale per la resistenza della comunità sensibilizzata dal rispettato insegnante Frank Yates (Hal Holbrook), sia sul piano personale a seguito dell’incontro di Steve con Alice (Rosemarie DeWitt). E quando arriva Dustin Noble (John Krasinski), uno scaltro attivista per la tutela dell’ambiente, la posta in gioco, sia personale sia professionale, si alza in modo vertiginoso e rischia di far saltare il banco.
“Promised Land” doveva essere il film d’esordio da regista per Matt Damon (basato su una sceneggiatura scritta da lui e dal co-protagonista John Krasinski), ma alla fine l’attore premio Oscar ha ceduto all’amico Gus Van Sant l’onere di mettere in scena uno script tanto interessante nelle premesse quanto deludente nella resa.
“Promised Land” è, infatti, palesemente su commissione, poco sentito e poco personale, diretto con il pilota automatico, privo della necessaria dose di partecipazione e passione. Van Sant mette da parte sperimentalismi formali e ripone nel cassetto i cardini tematici del suo cinema (la difficile transizione verso l’età adulta, la scoperta della propria sessualità, il senso di inadeguatezza verso un mondo ritenuto ostile), limitandosi a confezionare un compitino senza infamia e senza lode e quindi senza nerbo, arrancante nella sua mediocrità esiziale.
“Il film che la lobby dei petrolieri ha tentato invano di sabotare” recita il poster italiano di “Promised Land”. Pare davvero improbabile che un gruppo di potere così influente possa essersi sentito in qualche modo toccato da un film tanto ingenuo e innocuo.
Le potenzialità della storia, infatti, vengono annacquate da uno script sempre troppo attento a tenere il piede in due scarpe: critico e civicamente impegnato, ma al tempo stesso politicamente corretto, anzi correttissimo. “Promised Land”, a tratti, sembra assumere i connotati del film militante, ma non ha la forza di perseguire fino in fondo il proprio scopo, di sporcarsi le mani (narrativamente parlando), di assimilare in maniera costruttiva e funzionale certi tratti di quel cinismo che vorrebbe raccontare. Il risultato è una critica di facciata, sterile, debolissima con i forti (si veda come viene tratteggiato il colosso Glocal e i suoi rappresentanti) e debole con i deboli (una comunità di sempliciotti ottusi e macchiettistici).
“Promised Land” appare come una dichiarazione d’intenti sfiatata, della cui pochezza i primi a prenderne atto sono gli autori/attori. Matt Damon e John Krasinski appaiono due automi incastonati in personaggi amorfi, sempre uguali a loro stessi, tanto da far storcere il naso di fronte al twist narrativo del sottofinale, così forzato e così poco convincente. Due interpreti e due sceneggiatori senza carisma e senza granché da dire: come, del resto, il film tutto.
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