Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Settembre 20th, 2020 | by sally
0Summary: Ryan Murphy presenta schemi ripetitivi per una serie che non si distingue dai suoi lavori precedenti.
Partiamo dal principio: Mildred Ratched è un’infermiera sadica e chi ha visto “Qualcuno volò sul nido del cuculo” non può non averla odiata. Il personaggio interpretato da Louise Fletcher è stato ripreso da Ryan Murphy, che ha voluto cucirci attorno la sua genesi e spiegarne la malvagità in questa serie ideata da Evan Romansky. A rappresentarla, l’immancabile Sarah Paulson.
Chi è Mildred Ratched? È una donna dal passato oscuro, che nasconde in sé tanta sofferenza, traducendola in cattiveria da riversare sugli altri. È scaltra e manipolatrice e si fa presto spazio all’interno della clinica in cui lavora per il dottor Hanover (Jon Jon Briones) ma, come sempre accade, non è l’unica ad avere un segreto. Malvagia ma non troppo, la Ratched è eternamente divisa tra bene e male.
Ancor meno che nelle altre serie, Murphy sembra proprio voler essere clemente a tutti i costi con i suoi personaggi e, non appena compiono una cattiva azione, tende a giustificarla o a equilibrare il tutto con una buona azione successiva, come se dovesse farsi perdonare qualcosa. Per la narrazione, tutto questo si trasforma in confusione, bipolarismo costante (anche quando non viene diagnosticato da uno psichiatra) e il consueto fenomeno che si è manifestato anche nelle stagioni di “American Horror Story”: tutto potrebbe durare molti episodi in meno e il penultimo si può sempre considerare il vero episodio finale. Perché, diciamocelo, “Ratched” non è altro che un’altra stagione di AHS, ma con un altro titolo e la trama di “Asylum” e un pizzico di “Hotel”, ovvero un po’ meno Kubrick (anche se le citazioni di “Shining” sono ormai d’obbligo) e un po’ più Hitchock e Bates Motel.
Tanta estetica e poca sostanza, per una serie paulson-centrica in cui perfino Sharon Stone resta in secondo piano (che spreco!). Va un po’ meglio a Cynthia Nyxon e Judy Davis, mentre Finn Wittrock continua a recitare lo stesso ruolo – senza nemmeno dover compiere lo sforzo di cambiare espressione – ormai dal suo debutto in “Freak Show”. In sostanza, lo attende la stessa sorte di Jessica Lange. Non c’è Evan Peters, grande assente di cui si può già scorgere il prossimo erede, Brandon Flynn.
La partenza di “Ratched” è un po’ faticosa ma, nonostante i numerosi difetti, è una serie che si apprezza. Con la sua indiscutibile eleganza, ambientazioni, costumi e fotografia che sono sempre una garanzia, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore. Quello che manca, prima di tutto, è un’identità ben strutturata dei personaggi, che finisce per rendere tutto un po’ slegato. La serie, in effetti, tocca tantissimi (troppi?) temi, a partire da quelli che ruotano attorno alla psichiatria, la diagnosi e la cura delle malattie. Ci sono, poi, il razzismo, la pena di morte, la guerra, la politica, la California degli anni Quaranta, la figura del serial killer, la sessualità, la facile accessibilità al sogno americano e l’altra faccia della medaglia.
Un po’ di Hitchcock qua, un po’ di Kubrick là e la magia è fatta? Non proprio. Perché se è vero che Ryan Murphy sceglie storie potenzialmente affascinanti, dall’altra parte è vero che si lascia andare all’iper-citazionismo e, a forza di ostentare le sue passioni culturali, finisce col ripetersi, puntualmente. Lo stesso vale con il ricorrente inserimento di situazioni LGBTQ friendly: anche questa un’apprezzabilissima costante nelle opere di Murphy, ma solo fin quando non suona come una forzatura. Murphy, infatti, ha il difetto di tendere sempre ad essere eccessivo, mettendo troppa carne sul fuoco per poi perdere il filo del discorso. Tuttavia, è già stata confermata una seconda stagione ed una probabile terza: il racconto sembra già essere piuttosto prevedibile, considerati i presupposti, ma chissà che non possano esserci sorprese.