Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Giugno 26th, 2013 | by alessandro ludovisi
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Debutto in lingua inglese per il talentuoso regista sudcoreano Park Chan-Wook, autore della celebre e già cult “trilogia della vendetta” composta dalle tre opere “Mr vendetta”, “Oldboy” e “Lady vendetta”.
“Stoker” è il cognome della protagonista India (Mia Wasikowska), una ragazza diciottenne sconvolta dalla prematura e misteriosa scomparsa dell’amato padre. Costretta in una grande casa di campagna insieme alla madre (Nicole Kidman) elabora il lutto a modo proprio isolandosi nel doloroso ricordo paterno fino all’arrivo dello zio Charlie, di cui la ragazza ignorava l’esistenza. Charlie, fratello minore del defunto padre di India, è un uomo misterioso, affascinante ma allo stesso tempo terribilmente ambiguo e deciso a riconquistare un posto nel “cuore” della famiglia.
Evidentemente il titolo della pellicola incita all’immaginario vampiresco, nonostante nel film non siano presenti canini, morsi o trasformazioni. “Stoker” avvolge lo spettatore in un turbine di violenza – soprattutto mentale – scabrosità, sensualità e sessualità latente, grazie a un cast – perfettamente calato nell’opera prima oltre i confini nazionali di Park – composto da : Nicole Kidman, finalmente tornata ai fasti di un tempo, nei panni di una vedova alla ricerca di attenzioni, Mia Wasikowska in quelli della figlia India incapace di stabilire un dialogo con la madre e relegata a un isolamento sociale anche fuori dalle mura domestiche e, infine, Matthew Goode nel ruolo di un mefistofelico ed affascinante zio, ghignante e pericolosamente affascinante.
Stoker si nutre di una tensione di hitchcockiana memoria, alimentata da una scelta musicale suggestiva che risveglia più sensi, in una escalation di crimini che accompagnano il battesimo criminale della giovane India soggiocata dall’operato dello zio materno. Il colpo di scena, forse prevedibile nella forma e nella costruzione, sembra voler definire un destino ormai segnato per gli Stoker ma l’educazione al male, seguita da India, sarà propedeutica per una diversa risoluzione della contesa famigliare.
Esame superato per Park, là dove altri registi asiatici hanno fallito, anche a causa di una americanizzazione del loro stile favorita dagli script hollywoodiani, il cineasta sudcoreano ci regala un thriller elegante – tanto da far urlare al mero esercizio stilistico – dalle feroci impennate, egregiamente recitato, abilmente montato e arricchito da un sapiente utilizzo di sfumature cromatiche e sonore.
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