Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Maggio 29th, 2011 | by sally
0Summary: Nel complesso, “The housemaid” non fa particolarmente presa a livello emotivo, ma indubbiamente trascina lo spettatore all’interno di questa dimensione e rivela tutta la critica di Sang-soo Im nei confronti dell’alta società sudcoreana.
Il weekend appena trascorso, ha portato in sala anche “The Housemaid“, film sudcoreano che nasce come remake dell’omonima pellicola di Kim Ki-young, datata 1960. Questa volta dietro la macchina da presa troviamo Sang-soo Im, che tenta di riportare sul grande schermo una storia alquanto complessa, forse non riuscendoci con la stessa intensità del suo predecessore, ma offrendoci un lavoro che va analizzato attentamente ed apprezzato soprattutto per la cura del dettaglio.
Eun-y (Jeon Do-yeon) viene assunta come domestica in una ricca famiglia per badare alla piccola Nami (Ahn Seo-hyeon) figlia di Hae-ra (Seo Woo), incinta di due gemelli, e del facoltoso Hoon (Lee Jung-jae). Eun-y si ritrova a lavorare in un ambiente freddo e impassibile, in compagnia di un’altra domestica, la rigida Byeong-sik (Yoon Yeo-jeong). Eun-y, appena trentenne, finisce per avere una torbida relazione con Hoon, proprio nel momento in cui i due gemelli stanno per nascere. La relazione tra loro, però, avrà vita breve ed anche la creatura che ha generato. La vendetta delle donne di casa incombe e Eun-y ne pagherà, una per una, le conseguenze. Il tema centrale di “The Housemaid” è evidentemente la vendetta, elemento riscontrato più e più volte nel cinema asiatico ma che dà vita a molte trame, in generale, fonte d’ispirazione per situazioni portate all’estremo, ed ottimo per offrire un’analisi approfondita dei personaggi che si mandano in scena. In questo caso, la particolarità del film sta nel fatto che l’abile Sang-soo Im traccia i profili dei personaggi senza che uno, tra tutti, risulti più o meno vittima rispetto agli altri. In questo caso, la storia viene raccontata principalmente dal punto di vista di Eun-y, che a primo impatto appare come la “vittima sacrificale” di questa vicenda, costretta a soccombere di fronte al potere di persone capaci di sborsare profumati assegni per risolvere qualsiasi tipo di problema. In realtà non è così, al di là del denaro esistono le dinamiche che oltrepassano la materialità e toccano la psiche e quando la mente umana è sottoposta ad ingiustizie e pressioni insopportabili, diviene capace di compiere qualsiasi atto. La nostra disgraziata protagonista ne è la prova tangibile, ma non sono da meno tutti gli altri personaggi, che le ruotano attorno. Interviene, nella faccenda, anche la madre di Hae Ra. Ques’ultima, in qualità di madre incinta di due gemelli e donna tradita, potrebbe sembrare ancor più vittima di Eun-y, che dal suo punto di vista si trasforma in carnefice. La madre di Hae Ra gioca un ruolo importante, con le sue capacità persuasive e la cattiveria di cui è capace, ma nemmeno lei esce vincente da questa particolare lotta: intrappolata in uno status sociale che ha sempre sognato e nel quale ha deciso di intrappolare anche la figlia, la donna vive divorata dal cinismo e dal rancore, disillusa al punto da far rabbrividire. Hoon, che tradisce la moglie e approfitta dell’ingenuità di una domestica che sogna ad occhi aperti, rimane vittima a sua volta delle donne che lo circondano, che alle sue spalle complottano e sussurrano soluzioni da concretizzare. Vittima e carnefice, infine, è la stessa Byeong-sik, ambigua al punto da lasciare lo spettatore indeciso e confuso fino alla fine. La domestica “veterana” difatti sembra non voler prendere mai posizione, una volta schieratasi riesce a pentirsi senza ottenere un reale perdono, ma congedandosi dalla vita che per lungo tempo ha deciso di fare, causando la sua stessa infelicità. La vittima per eccellenza, che respira aria di vendetta a pieni polmoni, è la piccola Nami, inquietantemente kubrickiana (alcune scene ricordano in maniera fin troppo evidente il piccolo Danny Torrance di “Shining“, nonostante pare che il regista sudcoreano non apprezzi particolarmente Kubrick), che assite passo dopo passo all’autodistruzione di Eun-y, alla quale si è parecchio affezionata, ma che al contempo cresce bene indottrinata dal denaro e dalle presunzioni del padre. Significativa, a riguardo, è la scena finale. Nel complesso, “The housemaid” non fa particolarmente presa a livello emotivo, ma indubbiamente trascina lo spettatore all’interno di questa dimensione e rivela tutta la critica di Sang-soo Im nei confronti dell’alta società sudcoreana. Il regista, infatti, non si fa troppi problemi, non cela il suo pensiero e inoltre utilizza una tecnica impeccabile, con un’attenzione al dettaglio che rasenta la perfezione, da aggiungersi ad una fotografia davvero ottima. Le musiche (Han Sang-gi), poi, accompagnano perfettamente ogni scena, conferendole un’ulteriore pennellata di malinconia e quel senso di vuoto e solitudine che invade ogni personaggio, portandolo alla completa distruzione di sé, in un modo o nell’altro.