Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Gennaio 5th, 2017 | by sally
0Per descrivere una serie tv come “The OA” dovrei iniziare a scrivere frasi senza senso e questo racchiuderebbe il senso dell’intera serie: nessuno.
Il ché, bisogna dirlo, è una genialata, anticipata a suo tempo in versione più trash da Lory Del Santo su YouTube: se una cosa non ha senso ma viene propinata bene, il pubblico ne troverà uno. Netflix ha mantenuto il mistero, senza pubblicizzare il progetto di Brit Marling (che è anche la protagonista) e Zal Batmanglij, ed è stata un’altra mossa vincente, perché gli spettatori avidi e curiosi si sono catapultati a guardare cosa stesse succedendo.
Personalmente ritengo la visione di “The OA” del tempo rubato (magari a serie più interessanti) e salvo pochi elementi, che sono più di tecnica che di sostanza. Mi piace l’idea degli episodi che non hanno durata fissa (come hanno spiegato i creatori, proprio come succede con la lunghezza dei capitoli di un libro), mi piace l’idea dei titoli di testa “a sorpresa”, del resto non mi piace niente, dalla sceneggiatura alla recitazione, a partire da quella di Brit Marling. La sceneggiatrice e interprete ha parlato di fede, soprattutto con riferimento al finale di stagione: chi vuol credere creda, altrimenti va bene uguale. Il succo è questo, l’importante è che se ne parli. E questo è successo per davvero, infatti il chiacchiericcio dovrebbe far scattare la seconda stagione, anche perché di risposte ce ne mancano parecchie.
La trama base, senza spoiler, parla di una ragazza, Prairie, che sparisce nel nulla per 7 anni. Quando è sparita era cieca, quando torna ha recuperato la vista, com’è possibile? Cosa le è successo? Dov’è stata tutto quel tempo e con chi? Alcune risposte arrivano, altre si fanno desiderare, dipende dal grado di noia che “The OA” vi ha suscitato. Per quanto mi riguarda, credo di poter rimanere anche col dubbio, perché dall’inizio alla fine questa serie non ha il minimo senso. Non ha una sceneggiatura solida, non ha poesia. Non è la prima volta che si crea un prodotto volutamente di difficile comprensione (o che non necessita di essere compreso ma solo apprezzato) ma a quel punto bisogna alzare l’asticella della qualità e sotto molteplici aspetti. Bisogna tirare fuori l’arte, anche quando i concetti sono astratti, talmente tanto da far venire il mal di testa. Qui non succede niente di tutto questo e scusate, ma c’è gente che sul nonsenso ci ha costruito una carriera, quindi è possibile, si può fare se si vuol fare bene. “The OA” invece appartiene a quel filone del nonsenso più superficiale, non elaborato, buttato lì perché chissà cosa passa per la testa di Brit Marling e la cosa divertente è che a molti piacerà e ne verrà fuori un filone di seguaci incalliti, i suoi fedeli. Quelli, insomma, che credono esattamente a tutto quello che Prairie racconta e che al contempo può essere messo in discussione: è vero, è lo spettatore a decidere da che parte stare. In molti aspetteranno di scoprire gli sviluppi, altri avranno abbandonato la visione ancor prima di arrivare a metà, altri saranno annoiati o super entusiasti. “The OA” appartiene, secondo me, al filone della supercazzola prematurata, dopo uno sguardo complessivo su questa prima stagione non ci resta che dire che è come se fosse Antani.