Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Agosto 28th, 2013 | by alessandro ludovisi
0Summary: Il montaggio è piuttosto frenetico, tiene il passo con le esuberanze musicale dei protagonisti. Ritratto piatto e discretamente rappresentato.
Talent e boy band: una accoppiata che per questioni di immagine, visibilità e stimolazione delle masse sembra ormai indissolubile e un passo obbligato per il successo.
Non sempre l’alchimia musica/tv funziona e al visibilio dei fan si sostituisce un doloroso anonimato. Non è il caso degli One Direction, ovvero il fenomeno musicale del momento. La boy band anglo irlandese, nati da una idea di Simon Cowell, hanno riscosso un successo planetario arrivando a bruciare le tappe e proponendosi come uno tsunami musicale che, con i dovuti paragoni per qualità della musica periodo storico e influenza sul pubblico, si avvicina a quello dei Fab Four di Liverpool.
Gli One Direction sbarcano sul grande schermo con il film “This is us”, in 3D, del documentarista Morgan Spurlock (“Super Size Me”) che ha seguito i cinque ragazzi ripercorrendo le loro origini, i provini a X Factor, le lacrime, il successo, il forte cameratismo (nonostante si siano presentati come singoli a X Factor per poi esser riciclati come gruppo), il rapporto tenero e commovente con le famiglie d’origine (a causa del successo dei ragazzi le occasioni per rivedere i propri cari si sono ridotte drasticamente) e quello con le fan che, secondo una teoria espressa da un neurologo, sarebbero “eccitate” a causa degli effetti musicali che stimolerebbero le endorfine. Nel film grande spazio alle performance del gruppo che sono i protagonisti assoluti di questo progetto cine-biografico concepito e destinato per una determinata fascia d’età, e non potrebbe essere altrimenti.
Morgan Spurlock capace di indagare e smascherare le problematiche alimentari derivanti da un utilizzo indiscplinato e costante di cibo da fast food (arrivando a proporsi come cavia e capace di ingerire cibo di Mc Donalds per tre pasti al giorno per un mese di tempo, correndo grossi rischi per la salute) questa volta si limita a rappresentare il fenomeno in maniera piuttosto asettica non scavando nel “torbido” ma limitandosi a una didascalica biografia del gruppo senza pungere come se il progetto fosse semplicemente assegnato e non agognato. Il montaggio è piuttosto frenetico, anche per tenere il passo con le esuberanze musicale dei protagonisti, ma quello che traspare è un ritratto piatto e artificiosamente costruito anche se discretamente rappresentato. L’obiettivo, tuttavia, è raggiunto, il lato umano della boy band ha il sopravvento sul divismo e nonostante possa sembrare che i cinque siano stati inghiottiti in una realtà ben più grande della loro tenera età, compresa una trasferta “umanitaria” in Ghana ad incontrare ragazzi meno fortunati, i complimenti non mancheranno, come quelli ricevuti nel backstage dal regista Martin Scorsese, autore di documentari su Bob Dylan e George Harrison. E scusate se è poco.