Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Aprile 15th, 2017 | by sally
0Summary: Un teen drama a tutti gli effetti, che affronta tematiche molto attuali in maniera diretta ma che ha molti difetti.
La serie tv del momento è “Tredici“, ultimo lancio di Netflix dal titolo originale “13 reasons why“, un tuffo nel mondo degli adolescenti di oggi in cui i drammi sembrano ancora più crudi di un tempo.
Tutti i teen drama che si rispettino affrontano argomenti che siano al passo coi tempi e soprattutto con il target a cui si rivolgono: la sessualità, la depressione, le dipendenze da droghe o alcol, sono tematiche che passano di generazione in generazione. Ma ogni generazione le affronta in modo diverso e “Tredici” ne è la prova definitiva. Siamo di fronte a un vero e proprio dramma che si sviluppa a partire dal suicidio della diciassettenne Hannah Baker (Katherine Langford). Al contrario di “How to get away with murder“, che ha più o meno lo stesso meccanismo narrativo, i colpi di scena sono davvero pochi e sono anche facilmente prevedibili. Non ha il sentimentalismo di “Dawson’s Creek“, la crudeltà e la sensualità di “Pretty Little Liars” o la spocchia di “Gossip Girl“. Nel mondo delle serie tv non ci sono termini di paragone del tutto utilizzabili, “13 reasons why” ha dato definitivamente il via a un nuovo filone narrativo per le serie che si occupano di tematiche adolescenziali.
Prima della sua morte Hannah Baker ha deciso di registrare 13 audiocassette (per andare contro l’ondata di “ma che ne sanno i 2000?”) per spiegare i motivi che l’hanno portata a compiere un gesto così drastico. Le cassette partono da una persona e fanno il giro dei diretti interessati, per un motivo o un altro – discutibile oppure no – tutti sono messi sotto accusa, perfino l’immacolato Clay Jensen. La serie si basa su un romanzo di Jay Asher ed è prodotta da Selena Gomez che, almeno in parte, conosce bene le tematiche affrontate, a partire dal bullismo. La serie sta riscuotendo molto successo perché si avvicina al mondo dei teenagers e affronta problemi delicati senza troppi fronzoli fin quando si tratta di messa in scena, un po’ meno per quanto riguarda la sceneggiatura. “Tredici” ha numerosi difetti e uno di questi è quello di apportare troppo sensazionalismo in alcune situazioni, affrontandone altre con superficialità, soprattutto nella prima parte. La serie si presta al binge watching facile perché gioca sulla curiosità che scatta nello spettatore, che vuole sapere tutto quello che Hannah ha da dire e a chi rivolge le sue accuse. Contrariamente a quanto accade nel libro, Clay ascolta le cassette nell’arco di una settimana, presente e passato si sovrappongono per analizzare i diversi punti di vista. E forse questa scelta è stata più funzionale, rendendo l’argomentazione più digeribile.
Hannah Baker non viene raccontata come una santa, lei stessa spiega le motivazioni del suo suicidio prendendosi parte delle colpe, ma senza risparmiare nessuno. E gli stereotipi di un teen drama ci sono tutti: Clay, il nerd carino ma emarginato; la darkettona tatuata con le cicatrici ai polsi; la cheerleader che vuole essere impeccabile; la perfettina di turno, figlia di genitori gay ma che è terrorizzata all’idea di ammettere al mondo la sua, di omosessualità. C’è il campione che vive in una situazione di disagio ma non lo dà a vedere e quello che invece di agio ne ha fin troppo; c’è il fotografo/voyeur che tutti guarda e che nessuno vede, l’alternativo che non si sente mai al suo posto. Le categorie per immedesimarsi, anche mescolandole tra di loro per simpatizzare, ci sono tutte. La persona con cui, soprattutto inizialmente, si empatizza meno, paradossalmente è proprio Hannah Baker. A tratti la narrazione è così melò da risultare fastidiosa, salvo poi dei momenti in cui i fatti vengono raccontati in maniera nuda e cruda, come il suo suicidio. Una scena difficile da assimilare.
“Tredici” racconta i fatti senza giudicare nè una parte nè l’altra, si attiene a mostrare reazioni, punti di vista e opzioni che vengono valutate. Diventa uno spaccato che mette in discussione vari aspetti della società, valutando il peso che giocano la famiglia e la scuola – quest’ultima sembra essere un vero e proprio girone infernale. A volte i comportamenti risultano fin troppo irrazionali e incanalati a forza nel racconto per trascinarlo avanti, quasi perdendo il filo. Alcuni dialoghi sono mozzati e poco approfonditi, le figure genitoriali risultano essere altrettanto superficiali. E questo potrebbe essere un altro grande difetto o uno specchio di quel che realmente accade: gli adolescenti si sentono sempre soli, a casa parlano poco e fanno un po’ quello che gli pare, vivono attraverso gli schermi dei loro smartphone, croce e delizia delle loro giornate. Da un momento all’altro l’intero sistema rischia di rivoltarsi contro, eppure rinunciano facilmente alla cautela. Nella fase adolescenziale i drammi – più o meno gravi – li abbiamo vissuti tutti ma in questi ultimi anni determinati comportamenti hanno preso una piega più crudele e violenta o, più semplicemente, se ne parla molto di più e diversamente. “13 reasons why” non parla solo di suicidio, parla di slut-shaming (traducibile in italiano con un pessimo “onta della sgualdrina”), di cyber-bullismo e di stupro. Non sono tematiche leggerissime e non è leggero il modo in cui vengono trattate, solo che a volte la narrazione sembra voler cedere sotto il peso della retorica e del luogo comune.
Come già detto, a tratti risulta difficile empatizzare con Hannah Baker ma a questo non bisogna necessariamente guardare come un difetto. Arrivando a questo risultato, la serie riesce a mettere lo spettatore esattamente nella condizione dei suoi coetanei, che non riescono a cogliere e capire le sue problematiche, pensando a un sensazionalismo volto alla ricerca continua di attenzioni. Un po’, di certo, lo è, ma non basta a giustificare un suicidio. I genitori della ragazza, poi, sembrano essere i migliori nel complesso, osservando le famiglie degli altri – anch’esse cariche di stereotipi. L’affetto familiare non è ciò che le manca, ma il mondo intorno continua a deluderla, Hannah si contraddice, pretende le cose senza manifestarne un reale bisogno, risultando così incomprensibile e finendo con l’essere incompresa de facto. Nonostante ciò, non viene voglia di giudicare, perché la protagonista ha rinunciato alla sua vita pur di non affrontare tutto questo, senza trovare una via d’uscita per sfuggire ai comportamenti sbagliati, suoi e degli altri.
Il finale di “Tredici” lascia la possibilità (quasi certa) di una seconda stagione in arrivo, qualche perplessità sulla storia nel suo complesso ma non di certo sugli argomenti che tira in ballo. Riflessioni importanti, alle quali si arriva di pari passo con i protagonisti, avvicinandosi alle loro realtà e cercando di immedesimarsi il più possibile. Perché è sempre facile pensare “io avrei fatto di meglio” ma tra il dire e il fare, si sa poi com’è.