Tom Cruise oltre Mission Impossible
20 Novembre 2023
Published on Ottobre 23rd, 2010 | by sally
3Summary: Un sequel non dovuto ma nemmeno pessimo, con l'inevitabile lezione morale.
“La madre di tutte le bolle è stata l’esplosione cambriana (quella che ha dato origine alla vita, n.d.r.) ed è successo per caso, più di cinque milioni di anni fa. Gli scienziati non si spiegano come accadde, sanno solo che fu un attimo e da quel momento, all’improvviso, apparvero milioni di nuove specie e poi siamo arrivati noi: la razza umana”.
Così si apre “Wall Street: Money never sleeps“, ultima fatica del regista Oliver Stone, arrivato nelle sale italiane lo scorso 22 ottobre con il titolo di “Wall Street: il denaro non dorme mai“.
Sono passati ben ventitrè anni da “Wall Street” che segnava l’esordio di Gordon Gekko, interpretato da Michael Douglas, che con il primo film del 1987 andava ad affermarsi come simbolo della speculazione finanziaria statunitense. Siamo nel 2001 invece adesso, Gordon Gekko è stato finalmente rilasciato dal carcere, ma fuori non c’è nessuno ad aspettarlo. La sua vita si è completamente sgretolata, l’uomo ha scritto il libro intitolato “L’avidità è bene?”, riprendendo un suo vecchio motto. La sua credibilità è sprofondata e il rapporto con la figlia Winnie è ormai inesistente, la ragazza lo ha escluso dalla sua vita e lo incolpa per la morte del fratello Rudy, tossicodipendente. Gordon Gekko riesce però a trovare un modo per avvicinarsi a Winnie, può farlo solamente attraverso Jacob “Jake” Moore. Quest’ultimo ha seguito l’uscita di Gekko dalla prigione e la presentazione del suo libro, ma è scettico riguardo le previsioni troppo pessimiste di uno degli uomini d’affari più abili di Wall Street. Jacob è giovane ed ambizioso, per amore di Winnie e per amore della sua professione, si avvicinerà a Gekko, cercando di riportare in vita il rapporto tra padre e figlia. Il regista di “Platoon” ritorna in sala con un film che preannuncia un’argomentazione piuttosto incentrata sull’attuale situazione finanziaria. Rispetto agli anni ’80 tutto è cambiato, tale cambiamento viene sottolineato al momento dell’uscita di Gekko di prigione, i suoi effetti sono ormai troppo antiquati. Si tratta delle bolle, quelle annunciate all’inizio, che cambiano, che “sono evolutive” e “tornano sotto forme diverse e quando esplodono portano sempre un cambiamento, dando vita ad una nuova era“. Da quando Gekko è stato imprigionato, la nuova era è segnata dall’avvento di internet, anche questo aspetto viene sottolineato con un’altra figura, quella di Winnie Gekko, blogger professionista ma “no-profit”. Una società moderna in cui ogni cosa accade in funzione di internet e in cui ogni cosa può cambiare da un momento all’altro e soprattutto una società in cui quella che Merton ha definito “la profezia che si autoadempie” diviene una vera e propria realtà. Basta diffondere qualche voce negativa e l’intero sistema finanziario potrebbe crollare. Ma non dimentichiamo le bolle, che sono la colonna portante di tutto il film.
Per una bolla che esplode, ce n’è un’altra che rinasce. Per un uomo che esce di galera, ce n’è uno che entra. Per una vita che va, ce n’è una che viene. Le bolle sono come la piuma che si posa su Tom Hanks in “Forrest Gump“, una metafora della vita. E se pensavate che ci fosse un linguaggio troppo tecnico da comprendere, considerando che si tratta di un film incentrato sul mercato finanziario, non è così. La trama si disperde sui sentimenti, sul rapporto padre-figlia che va necessariamente recuperato, ma che viene fuorviato da quel “denaro che non dorme mai” e che coinvolge e influenza talmente tanto gli uomini da portarli, in casi estremi, anche al suicidio. Nulla che stupisca, i tassi di suicidio durante le crisi finanziarie sono sempre in aumento, è un dato di fatto. Il denaro diviene una delle necessità primarie per molti, ma non tutti. Qualcuno è ancora disposto a stare dalla parte dei sentimenti, anche Oliver Stone opta per questa soluzione. Non è pienamente convincente, però, la scelta del cast. Troviamo Michael Douglas naturalmente invecchiato e forse troppo meno presente e determinato rispetto a quanto sarebbe dovuto essere, ma chi più delude è il giovane Shia LaBeouf, protagonista di “Transformers“. Un attore che non rientra per nulla nel ruolo, non riesce ad immedesimarsi nei panni di Jacob e ad aderire alla parte, e non viene agevolato, nella versione italiana, da quello che è un discutibile doppiaggio. Troviamo poi l’attrice premio Oscar Susan Sarandon, che nel film ha un ruolo marginale e quindi c’è poco da commentare, così come per il resto del cast, composto da Josh Brolin, Carey Mulligan, Frank Langella, Eli Wallach, Vanessa Ferlito, Charlie Sheen, nessuno che sia realmente degno di nota.
Divertenti due citazioni presenti nella pellicola: la suoneria del telefono di Jacob/Shia è un chiaro omaggio ad Ennio Morricone e a “Il buono, il brutto e il cattivo”. C’è anche un riferimento non troppo edulcorato nei confronti di Arnold Schwarzenegger: “Terminator: quello faceva meno danni se si metteva a recitare Shakespeare!”. Ottima gestione della fotografia da parte di Rodrigo Prieto e sicuramente non passa inosservata nemmeno la colonna sonora, nella quale spiccano in primis David Byrne e Brian Eno. Nel complesso si tratta di un lavoro impegnativo, realizzato con un budget di 70 milioni di dollari. Lavoro che, per essere un sequel, non è da considerarsi pessimo. Di certo non è il miglior film di Oliver Stone, che ha sfornato pellicole come “Nato il 4 luglio” e “JFK“, ma nel complesso, sia per tecnica che per contenuti, che si concludono con un inevitabile lezione morale, almeno per chi voglia intenderla, diamo un sette pieno a Gordon Gekko e co.
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